venerdì 12 giugno 2015

Repubblica 12.6.15
Il (sacro) processo
Il cammino di pulizia nella Chiesa continua. Dalle prime ammissioni al coraggio di denunciare e giudicare
Così, rinunciando alla politica del trasferimento che perpetuava i reati, Francesco con l’istituzione di un tribunale romano fa un gesto definitivo nella lotta alla pedofilia
E c’è chi ora pensa alla prevenzione. Valutando bene i ragazzi che entrano in seminario
di Paolo Rodari

CITTÀ DEL VATICANO Di vescovi alla sbarra, in Vaticano, ancora non ce ne sono. A parte, ovviamente, l’arcivescovo polacco Jozef Wesolowski. Accusato di aver abusato di minori quando era nunzio a Santo Domingo, è tuttora agli arresti domiciliari nel palazzo dei Penitenzieri all’interno della Città leonina. Autorizzato a una certa libertà di movimento, ma con obbligo di permanenza all’interno dello Stato vaticano e soggetto a opportune limitazioni nelle comunicazioni con l’esterno, attende da un anno un giudizio che ancora non è arrivato. Ma intanto deve stare lì, dentro le mura, finché l’iter giudiziario non sia compiuto. Oltre a un processo canonico, infatti, Wesolowski ne deve subire uno civile nel Tribunale dello Stato della Città del Vaticano. Ed è per questo secondo processo che hanno potuto arrestarlo. Così non potrà avvenire, invece, per i vescovi “insabbiatori”, coloro che si rendono colpevoli di coprire i preti pedofili all’interno delle proprie diocesi. Per decisione ratificata due giorni fa da Papa Francesco dovranno subire un regolare processo canonico all’interno del Vaticano. Ma non potranno essere trattenuti. Insomma, sarà data loro licenza di entrare e uscire dalle mura leonine prima e dopo la sentenza a loro carico, ma su di loro la gendarmeria vaticana non avrà alcun potere coercitivo. Anche perché le pene che rischiano non prevedono il carcere: si tratta di sanzioni riguardanti l’esercizio del proprio ufficio, la limitazione delle celebrazioni liturgiche pubbliche, e ancora, in casi eccezionali, la dimissione dallo stato clericale.
Così, del resto, è stato recentemente per il vescovo statunitense Robert W. Finn. Condannato due anni fa da un tribunale laico per aver coperto degli abusi, il 20 aprile scorso per volere del Papa ha lasciato l’arcidiocesi di Kansas City—St. Joseph. Nelle settimane precedenti la decisione papale si era visto più volte a Roma, entrare e uscire dai cancelli vaticani. La stampa statunitense da tempo ne chiedeva le dimissioni: colpevole nel 2012 di avere protetto padre Shawn Ratigan che per anni aveva scattato foto pedopornografiche a bambini della sua parrocchia, se ne chiedeva la resa definitiva. Ma lui non voleva cedere, anche se a un certo punto ha dovuto abdicare, dopo che una visitazione apostolica era stata inviata a Kansas City dal Vaticano. La visitazione ha appurato i reati. E tutto si è compiuto. Il suo processo è stato un anticipo di ciò che di qui in avanti diverrà norma. Tre congregazioni, quella dei Vescovi, dell’Evangelizzazione dei Popoli, e delle Chiese Orientali avranno la facoltà di valutare i casi di vescovi accusati di aver coperto preti pedofili. Il reato, ai sensi del codice di diritto canonico, è per abuso di ufficio. Una volta ritenuto opportuno procedere, il dossier di ogni singolo vescovo verrà inviato a una nuova sezione giudiziaria che si costituirà all’interno della Congregazione per la Dottrina della fede, una sorta di nuovo tribunale. Questa sezione, con personale stabile, sarà guidata da un segretario che tecnicamente manderà avanti i processi. Avrà facoltà di incontrare i vescovi accusati più volte, da soli o insieme ai rispettivi avvocati. Ascolterà testimonianze, vaglierà attentamente i dossier: il rischio di maldicenze gratuite, infatti, è un cancro sempre presente nella Chiesa cattolica. Sui vescovi accusati verrà aperto un fascicolo, che comporterà l’ascolto di più testimonianze, a cominciare da quelle delle vittime. Una volta che le accuse saranno ritenute quantomeno verosimili, al vescovo potrà essere comminata una sospensione temporanea. Dopodiché inizierà il processo vero e proprio. La linea è duplice: garantire al massimo le vittime, ma anche l’accusato: «Attenzione — dice, infatti, don Fortunato di Noto, presidente dell’associazione Meter che lotta da tempo contro la pedofilia —, se si vuole “uccidere” una persona basta accusarla di pedofilia ». In ogni caso, per le procedure interne, la strada è ancora lunga. Come ha spiegato due giorni fa padre Federico Lombardi, ci sono cinque anni di tempo perché le nuove proposte vengano esaminate.
La materia è grave e delicata. Ma il salto in avanti resta evidente e sancisce la fine di un’epoca. Certo, all’orizzonte, qualche rischio non manca. Racconta Gianfranco Svidercoschi, ex vicedirettore dell’Osservatore Romano, autore di “Un Papa solo al comando” e di due precedenti libri in cui trattava a fondo il problema della pedofilia dei preti: «Senz’altro la nuova disposizione apre a una novità positiva, visti anche i casi dolorosi del passato, come ad esempio quello dell’ex cardinale di Boston, Bernard Law, accusato di coperture. Ma vedo dei rischi: la moltiplicazione di gesti e organismi che a volte non risolvono i problemi. Inoltre si accentrano a Roma tutta una serie di competenze che forse si potevano risolvere a livello delle conferenze episcopali, come sostiene Evangelii Gaudium. Infatti, già Benedetto XVI aveva dimissionato per pedofilia o per coperture un’ottantina di vescovi anche senza un tribunale vero e proprio. Anche perché ciò che maggiormente occorrerebbe, a mio avviso sarebbe una vera riforma dei seminari: il prete pedofilo va fermato per tempo, prima dell’ordinazione sacerdotale». Dice Luca Diotallevi, sociologo di Roma Tre, vice presidente delle Settimane Sociali dei cattolici italiani: «Se si legge la Costituzione dogmatica sulla Chiesa del Concilio Vaticano II, e il codice di diritto canonico, che ne è largamente ispirato, si comprende che al ministero ecclesiastico la Chiesa prescrive compiti ben più esigenti. I pastori sono chiamati a provvedere in ogni modo al bene dei fedeli sino a doversi caricare di qualsiasi sacrificio e di qualsiasi rigore. L’atto che, dunque, Francesco sta per compiere non innova ma esplicita un parte dell’insegnamento della Chiesa. Quello che va sottolineato è la coscienza che il Papa esprime: definire solo gli scopi non basta. In una vicenda collettiva come quella della Chiesa occorre definire anche i limiti. Altrimenti dietro la inevitabile vaghezza dei fini si può costituire un cono d’ombra nel quale nelle organizzazioni civili come in quelle ecclesiastiche è possibile nascondersi. Questo vale per la pedofilia ma anche per le questioni economiche e della liturgia ».
Eppure è un fatto: per anni alcuni vescovi di tutto il mondo hanno eluso le norme del diritto canonico, coprendo pedofili con il metodo dello spostamento di parrocchia in parrocchia. Permettendo, in questo modo, che i crimini si perpetrassero. Dice non a caso ancora don Fortunato Di Noto che «il percorso di cambiamento è agli atti ed è irreversibile. La Chiesa ha iniziato la strada della pulizia non senza fatica, con dolore e ammissioni non facili delle proprie colpe. E, quindi, con una nuova assunzione di responsabilità nella consapevolezza che peccati così gravi non si possono mai più tollerare. Spesso la societas ecclesiale, ma anche la società in generale, non ha la consapevolezza dei danni che possono subire i bambini. E l’assunzione di responsabilità non riguarda soltanto i vescovi, ma anche i chierici, i religiosi e gli operatori pastorali. Più volte mi sono domandato che cosa spinge un vescovo a coprire, a non denunciare, a nascondere. E ho capito che la risposta è soltanto una: di fronte a crimini così gravi si ritiene più importante difendere la struttura, l’istituzione. Ora, è da dentro l’istituzione che si dice: basta. Anche perché troppe volte famiglie con figli vittime di sacerdoti non hanno trovato nei rispettivi vescovi l’aiuto che speravano. Diventavano vittime due volte, accusati di accuse false. Tutto ciò è intollerabile ».