La Stampa 12.6.15
Jared Diamond
“Ragazzi svegliatevi o il nostro mondo sparirà entro il 2050”
Lo studioso americano dell’ambiente riscrive per i giovani il suo libro sul“terzo scimpanzé”: potete ancora farcela
intervista di Gabriele Beccaria
Ce la farà l’umanità a sopravvivere, evitando l’autodistruzione in una gigantesca catastrofe ambientale? A chi chiederlo, se non a Jared Diamond?
Biologo, zoologo, geografo, oltre che Premio Pulitzer ed esploratore, lui è prima di tutto un viaggiatore del tempo, capace di spostarsi periodicamente tra il XXI secolo e il Neolitico. Ha casa a Los Angeles, tra le tribù metropolitane, ma sa cavarsela bene tra le tribù della giungla primigenia della Papua Nuova Guinea. Studia le civiltà. Presenti e remote. Come vedono la luce e come si disintegrano.
Adesso si trova in California, nella dimensione futuribile, ed è un privilegio riuscire a intercettarlo. Racconta il suo ultimo libro, L’evoluzione dell’animale umano. Il terzo scimpanzé spiegato ai ragazzi, che è la rivisitazione del saggio uscito nel 1991. Edito in Italia da Bollati Boringhieri, è un’avventura per cervelli curiosi lungo i 200 mila anni della nostra specie e allo stesso tempo uno sguardo sul prossimo futuro. Che Diamond descrive con toni a tratti lievi e a tratti lugubri.
Professore, lei sostiene che la civiltà è sull’orlo del precipizio e che dobbiamo subito cambiare modello. E non è l’unico a dirlo. Da dove dovremmo cominciare?
«Ma dagli autori dei libri!».
In che senso?
«Dovrebbero essere più decisi ed egocentrici e promuovere meglio i loro saggi. E un buon punto partenza sono proprio i miei, compresi i precedenti Collasso e Armi, acciaio e malattie. Spiegano i problemi che abbiamo di fronte e il caos in cui ci troveremo presto se non cambiamo passo».
Dal ’91 a oggi cos’è cambiato sul Pianeta Terra?
«Ci sono stati molti cambiamenti, ma non è cambiata l’interpretazione globale. Il mondo è un tutto, dove l’orologio continua a ticchettare. La cattiva notizia è che utilizziamo sempre più risorse. La buona notizia è che la consapevolezza dello spreco cresce. Sia nella pubblica opinione, sia nelle multinazionali. Il che mi ha sorpreso».
Secondo lei, però, restiamo prigionieri di un paradosso: conosciamo le soluzioni, eppure manca la volontà politica.
«In effetti non ci sono misteri sulle soluzioni: consumare meno e creare più eguaglianza. E sappiamo anche come fare a consumare meno energia e risorse».
C’è qualche buon esempio?
«L’Europa, che fa meglio degli Usa».
Nel ’91 lei scrisse una dedica ai suoi figli Joshua e Max. Ora si rivolge ai giovani in generale: quanto spera in loro?
«In effetti il mio libro è rivolto ai giovani, perché è proiettato verso i prossimi 50 anni: per allora io sarò morto e loro vivi».
Che ne sarà di quei giovani?
«Dovranno prendere le decisioni che governeranno lo stato del mondo di domani e saranno sempre loro a soffrire le conseguenze delle decisioni sbagliate di oggi. È quindi importante che capiscano che cos’è in ballo. Già la prima versione del Terzo Scimpanzé, d’altra parte, era rivolta ai giovani, ma ora, riscrivendo il libro, l’ho reso più facilmente leggibile e spero che si diffonda ancora di più nelle scuole».
Al momento non c’è molta scienza nelle scuole, non crede?
«Ma i miei libri non sono unicamente scienza! Toccano questioni d’interesse globale e senza mai trascurare la storia».
Il suo è il modello della «Terza Cultura», sospeso tra scienza e umanesimo, immaginato da John Brockman?
«In effetti lui sostiene che la scienza non è solo qualcosa da descrivere tecnicamente, per pochi esperti, ma è destinata al pubblico nel senso più ampio. E non soltanto perché ci riguarda tutti, ma perché è interessante, a patto che gli studiosi sappiano davvero raccontarla».
Raccontare, parlare: è questo - lei spiega nel libro - che ci rende umani.
«Sì. E dietro c’è l’interrogativo-base ancora aperto: come siamo arrivati al punto di parlare adesso, lei ed io, nonostante il 98% del nostro Dna sia lo stesso degli scimpanzè, i quali, perlopiù, stanno rinchiusi in gabbia e non parlano e non leggono?».
Secondo lei, dobbiamo imparare dal passato: qual è la lezione da non dimenticare mai?
«Proviene dagli ultimi 30 mila anni: noi umani, spesso, abbiamo minato le basi stesse dell’economia, sterminando specie e distruggendo habitat. Così molte società sono crollate e, se è successo nel passato, quando eravamo meno numerosi e dotati di mezzi più primitivi, oggi distruggiamo tutto molto più velocemente. Ecco perché il destino del mondo si decide entro i prossimi decenni».
Entro il 2050?
«Sì. O avremo realizzato un’economia sostenibile o avremo cancellato tutto in modo irreversibile. E nel secondo caso precipiteremo in un’altra Età della Pietra o, peggio, lasceremo il posto a topi e insetti».
L’Età della Pietra delle tribù delle Nuova Guinea?
«Sì. Loro sanno come fabbricare utensili in pietra e in caso di catastrofe globale sarebbero in grado di sopravvivere. Noi americani o voi italiani, purtroppo, no. Noi non sappiamo scheggiare le pietre».
Quelle tribù sono più felici o più tristi di noi?
«In certo senso sì e in un altro no. No, perché la vita media è 50 anni invece dei nostri 80. Non hanno medicine e si trovano immersi in una realtà violenta. Ma sono più felici perché godono di luoghi bellissimi e hanno migliori relazioni sociali. Non sono mai soli. Sanno guardarti negli occhi. Senza perdere lo sguardo dentro uno smartphone».