venerdì 12 giugno 2015

Corriere 12.6.15
Il partito Baath. Arabo ma anche europeo
risponde Sergio Romano


In Occidente sta montando il terrore per l’avanzata del fondamentalismo islamico. Eppure anche da noi sta acquisendo qualche consenso. Sarebbe da studiarne le cause. Probabilmente la corruzione dilagante induce chi si ribella a cercare un movimento che costituisca una opposizione o almeno un
freno. Le speranze su una rigenerazione comunista non sono ormai molto consistenti,
mentre l’Islam pare un’idea inossidabile.
Ma quale Islam? I seguaci dell’Isis metterebbero in crisi la concezione di democrazia liberale che si è affermata. Anche Recep Tayyip Erdogğan come lo si può definire?
Ma soprattutto l’impostazione del partito Baath non mi è molto chiara.
Antonio Fadda

Caro Fadda,
Dopo la caduta di Bagdad nel 2003, una delle prime decisioni del proconsole americano, inviato da Washington per amministrare il Paese conquistato, fu la dissoluzione del Baath. Gli Stati Uniti non gli riconoscevano dignità di partito politico ed erano convinti che fosse soltanto il nome (in arabo significa rinascita) della struttura poliziesca e clientelare di cui Saddam Hussein si serviva per governare il Paese con un pugno di ferro. Commisero probabilmente un errore. Nonostante le trasformazioni e degenerazioni subite nei regimi autoritari della Siria e dell’Iraq, il Baath era stato una delle manifestazioni più interessanti e promettenti del nazionalismo arabo. Il suo creatore era un intellettuale cristiano di Damasco, Michel Aflaq. Borsista alla Sorbona di Parigi fra gli anni Venti e gli anni Trenta, il giovane Aflaq aveva divorato la grande letteratura politica e filosofica europea, da Mazzini a Marx, da Nietzsche a Lenin. Fascismo e nazismo, soprattutto dopo l’avvento di Hitler al potere, gli erano parsi quella giusta combinazione di nazionalismo e socialismo che gli arabi avrebbero potuto adottare per emanciparsi dalla tutela delle grandi potenze coloniali e creare Stati conformi alle loro esigenze. Non lo turbava il fatto che Italia e Germania avessero regimi illiberali. Nel suo disegno politico, i padroni di cui gli arabi avrebbero dovuto sbarazzarsi erano anzitutto la Francia e la Gran Bretagna. Molti altri nazionalisti arabi, dal tunisino Burghiba al Mufti di Gerusalemme, dai giovani ufficiali egiziani al movimento iracheno di Rashid Ali al-Gaylani, furono, per periodi più o meno lunghi, sulle stesse posizioni.
Rientrato in patria nel 1934, Aflaq fu insegnante nelle scuole medie, ma si dedicò principalmente all’organizzazione di un movimento che divenne partito politico nel 1947. Sognava un grande Stato laico e socialista, capace di riunire tutti i popoli arabi della regione e di accompagnarli verso la modernità. Il Baath ebbe un largo seguito in Siria e in Iraq, ma si scontrò in Egitto con le ambizioni nazionali del colonnello Nasser a cui il panarabismo piaceva soltanto se diretto dal Cairo.
Aflaq morì nel 1989, probabilmente a Bagdad, dove Saddam Hussein aveva per lui una sorta di venerazione. Senza rimpiangere il suo sogno politico dovremmo almeno constatare che gli strumenti e le istituzioni di cui intendeva servirsi per la rivoluzione del mondo arabo erano tutti di stampo occidentale. Oggi al posto del partito Baath vi sono la Fratellanza musulmana, lo Stato islamico e Al Qaeda nelle sue diverse metamorfosi regionali: Al Nusra in Siria, Al Qaeda nel Maghreb lungo la frontiera tunisina e marocchina, Al Shabaab in Somalia, Al Qaeda nello Yemen. Il Baath, con i suoi quadri laici e la sua matrice europea, sarebbe stato forse un migliore interlocutore dell’Occidente.