venerdì 12 giugno 2015

Repubblica 12.6.15
La tela logorata della solidarietà
La lacerazione è già in atto e lo dimostra la campagna della Lega
Alcuni sindaci di sinistra subiscono questo tipo di pressione
di Stefano Folli


LE FOTO di centinaia di immigrati accampati nelle stazioni di Milano Centrale e di Roma Tiburtina, così come le notizie di casi di scabbia individuati fra i clandestini, accrescono ansia e inquietudine nell’opinione pubblica. Non potrebbe essere altrimenti. Ed è ovvio che a questo pensa il cardinale Bagnasco, presidente della Cei, quando afferma: «Attenti, non alimentate la paura perché è una cattiva consigliera. Le questioni vanno risolte con la disponibilità di tutti». Ma è proprio la disponibilità la merce più rara.
IN ALTRI tempi si sarebbe invocata la solidarietà nazionale, forse l’unico percorso politico plausibile in casi del genere. Oggi non ci pensa nessuno, salvo Bagnasco.
Intanto il problema resta privo di soluzioni a breve termine. Gestire gli arrivi, distribuire le persone nelle varie regioni italiane secondo criteri predefiniti, ottenere maggiore solidarietà dall’Europa: sono obiettivi quasi proibitivi e nel vuoto si avverte una crescente lacerazione del tessuto civile del Paese. Si dice che lo scandalo del malaffare a Roma sia senza precedenti, perché mai si era immaginato che la capitale d’Italia potesse correre il rischio di essere commissariata per infiltrazioni mafiose. Ma anche il dramma dei migranti, nelle sue attuali proporzioni, non ha precedenti. I centri di accoglienza sono per lo più saturi, attrezzarne di nuovi è difficile, la rete del ministero dell’Interno — ossia le prefetture — è tesa fino allo spasimo. Cosa accadrà se dovessero prendere forma i peggiori scenari, ossia l’arrivo via mare di altre decine di migliaia di migranti, qualcuno adombra addirittura due o trecentomila?
La lacerazione è già in atto perché la Lega ha trasformato l’immigrazione nel grande tema dell’estate. Non c’è niente di estemporaneo nella campagna martellante con cui Salvini e soprattutto Maroni, il presidente della Lombardia, battono sul tasto dell’inadeguatezza del governo. Si capisce l’intento politico: raccogliere il massimo del consenso in una miniera che sembra inesauribile proprio perché non ci sono esiti positivi alle viste; e affermare in tal modo una sorta di egemonia su quel che resta di Forza Italia. Difatti il partito berlusconiano non sembra in grado di contrastare il protagonismo leghista, al massimo riesce ad accodarsi alla crociata.
Si diceva di Maroni. Da lui è venuta nelle ultime ore una proposta assai poco realizzabile, almeno a breve termine: una forza Onu in grado di attrezzare campi rifugio per i profughi sul territorio nordafricano, così da regolare a monte il flusso delle partenze ed evitare gli arrivi massicci sulle coste siciliane. È una mossa che serve solo a mettere in difficoltà Renzi, ma è concepita con una certa abilità perché va incontro al malessere del Nord. “Che restino a casa loro”, “Rispediamoli a casa loro” sono frasi tipiche in cui si riconoscono gli elettori leghisti, ma anche tanti che leghisti non sono e nemmeno di destra.
Quanti sono i sindaci di sinistra che, sotto la pressione pubblica, condividono la linea di Maroni e Zaia? Senza dubbio numerosi. Del resto, basta leggere cosa ha detto sull’immigrazione il candidato del Pd a Venezia, Casson, mentre si prepara al ballottaggio («abbiamo già dato, ora basta»). E Casson viene dalla sinistra del partito, non è certo un renziano. Quanto a Cacciari, uno che conosce bene gli umori del Nord, ha definito «chiacchiere ideologiche» le posizioni ambigue del Pd e dello stesso premier.
Il sentiero è stretto. Da un lato, la pressione leghista; dall’altro la linea dell’accoglienza sostenuta da circoli che hanno una certa presa nel mondo del centrosinistra, ma soprattutto nell’Italia meridionale; il Nord va in tutt’altra direzione. In mezzo, la Chiesa che invita alla riconciliazione.
Ma come? Renzi deve riprendere a tessere una tela assai logorata. La risposta a tutti gli interrogativi è in Europa, ma prima bisogna trovare il modo di farsi ascoltare.