venerdì 12 giugno 2015

La Stampa 12.6.15
Così rischiamo il futuro dell’Europa
di Roberto Toscano


Sono mesi, se non anni, che i nostri organi di informazione parlano di «emergenza migranti», tanto da rischiare di produrre una sorta di assuefazione dell’opinione pubblica.
Il fatto è che adesso all’emergenza siamo arrivati davvero, e per non avere dubbi basterebbe il quadro che presenta la stazione di Milano, affollata da una dolente umanità sbandata e smarrita.
Era legittimo pensare che di fronte a un fenomeno che appare inarrestabile, e che comporta l’afflusso di decine di migliaia di persone sulle nostre coste (e su quelle della Grecia), l’Europa - in un momento in cui si ama parlare di «frontiere comuni» dell’Unione - si facesse carico del fenomeno in un’ottica di solidarietà e di ragionevole ripartizione degli oneri. Lo avevamo sperato, confortati dal piano elaborato dalla Commissione per la distribuzione a vari Paesi della Ue di 40 mila richiedenti di asilo - 24 dall’Italia e 16 dalla Grecia.
E invece le ultime notizie da Bruxelles sono una vera doccia fredda sulla speranza che almeno in parte non saremo lasciati soli a far fronte a questo inarrestabile flusso. Il piano della Commissione si sta infatti scontrando con le reticenze di numerosi Paesi, fra cui alcuni fra i più importanti: Germania, Francia, Spagna e Polonia.
Paesi che respingono la proposta di quote vincolanti (basate su criteri oggettivi quali popolazione, livelli di disoccupazione e numero di rifugiati accolti in precedenza) e insistono perché la ripartizione avvenga soltanto su base volontaria.
In sostanza, quando il Consiglio si riunirà a Lussemburgo martedì prossimo sotto la presidenza di turno della Lettonia, è da prevedere che, in mancanza di un sufficiente appoggio alla proposta della Commissione (servirebbe infatti una maggioranza qualificata: 55 per cento dei Paesi, e 65 per cento della popolazione dell’Unione) si deciderà di non decidere, e si rinvierà la questione a dopo l’estate.
Non ha torto il nostro ministro degli Esteri quando dice che il rinvio sarebbe un’enorme sconfitta politica per l’Europa, anzi, senza esagerare si potrebbe dire che l’incapacità di far fronte congiuntamente a un problema che certo non è solamente di un Paese membro segnerebbe una minacciosa inversione di tendenza in quel processo d’integrazione che, a sentire la retorica comunitaria, da tempo avrebbe dovuto passare dall’economia alla politica (e alla sicurezza). Si tratterebbe infatti di una regressione a una visione «retro» dell’interesse nazionale in totale contraddizione con l’ambizioso progetto europeo. Si riconosce in astratto la gravità del problema, e si versano lacrime di fronte alla patetica immagine dei migranti, delle sofferenze che li hanno spinti a lasciare i rispettivi Paesi, dei migliaia di morti nella traversata del Mediterraneo - ma alla fine prevale quello che gli americani chiamano Ninby («not in my back yard»): non da me, io mi chiamo fuori.
Si stanno poi minacciosamente aggiungendo altri due fattori che non potranno certo essere gestiti sulla base di una visione miope e a corto termine dell’interesse nazionale: il crescente scetticismo nei confronti dell’Europa, con sempre più pesanti umori xenofobi dalla Francia all’Ungheria, e anche il possibile esito del problema della crisi dell’indebitamento della Grecia.
Fa riflettere il fatto che la Germania, pur rigida custode dell’ortodossia finanziaria, dimostri di temere seriamente che una possibile uscita della Grecia dall’euro - che in sé l’Unione potrebbe riassorbire senza catastrofiche conseguenze - potrebbe segnare per l’integrazione europea un’inversione di rotta politicamente significativa e molto pericolosa.
Possibile che non si veda che anche la vicenda dei migranti, se confermerà la natura puramente retorica di una solidarietà e di una coesione che non reggono alle sfide reali, potrebbe avere lo stesso effetto?
Martedí, a Lussemburgo, l’Italia non starà solo difendendo il proprio interesse a non essere lasciata sola di fronte a un’autentica emergenza, ma anche lo stesso futuro dell’Europa, e la nostra sconfitta sarebbe anche una sconfitta dell’Europa.