venerdì 12 giugno 2015

Repubblica 12.6.15
La mafia senza lupare
di Gianrico Carofiglio


L’AZIONE si svolge qualche giorno dopo la seconda, grande retata dell’operazione chiamata Mafia Capitale. Mi aggiro fra gli scaffali di una grande libreria del centro di Roma quando mi sento chiamare.
MI VOLTO e mi trovo davanti un signore sorridente, fra i settanta e gli ottanta, in ottima forma. Un viso decisamente noto: uno dei protagonisti della prima Repubblica e poi della cosiddetta Tangentopoli. Non esattamente dalla parte di investigatori e pubblici ministeri. Per fugare ogni dubbio lui si presenta, dice il suo nome e mi porge la mano. Mentre gliela stringo — ha una bella presa, decisa ma non aggressiva — mi guardo attorno per controllare se qualcuno si è accorto di noi e ci guarda. Nessuno però fa caso alla scena.
«C’è una cosa nel suo ultimo romanzo che mi ha colpito molto» fa, senza preamboli, come se fosse stato lì ad aspettarmi, per dirmi proprio questo.
«Cosa?» «La comprensione della psicologia della corruzione. È descritta in un modo così credibile che viene da chiedersi se l’autore abbia vissuto lui stesso una situazione simile a quella raccontata nel libro».
Mi guarda sorridendo mentre io mi trattengo dal chiedergli come mai si senta di affermare che quella descrizione è credibile. Comincia così una conversazione lievemente surreale e difficile da dimenticare.
«Lei che ha fatto il magistrato per tanto tempo che ne pensa di questa cosiddetta Mafia Capitale? Non le sembra un’esagerazione l’accusa di associazione mafiosa?», mi chiede a un certo punto.
«Sulle prime avevo anch’io qualche dubbio. Così ho letto un po’ di carte per farmi un’idea e devo dire che il provvedimento è motivato in modo molto convincente».
Così gli spiego perché l’accusa di associazione mafiosa ci stia tutta, nonostante le pericolose minimizzazioni di taluni giornalisti. Le mafie hanno sempre prosperato sulla pratica delle minimizzazioni, delle negazioni e delle rimozioni.
C’è mafia — anche senza coppole, lupare e tritolo — ogni volta che un gruppo organizzato, attraverso la violenza, la minaccia o la corruzione sistematica si impossessa stabilmente di pezzi dell’economia. Ogni volta che la corruzione non episodica produce intimidazione e omertà, consentendo (come recita l’articolo 416 bis del codice penale, norma che molti citano e pochissimi conoscono) «di acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici», di fatto annullando la concorrenza. Cioè esattamente quello che facevano i vari Carminati, Buzzi e i loro amici di ogni colore politico.
Lui annuisce, come se la spiegazione lo avesse soddisfatto e a quel punto, pensando che un’opportunità del genere non mi ricapiterà, gli chiedo la sua, di opinione. Sui fatti recenti e in generale sul fenomeno; su cosa si dovrebbe fare per contrastarlo, secondo lui. È una domanda quantomeno imbarazzante, considerata la storia del personaggio ma in fondo, mi dico, non sono stato io a prendere l’argomento. Lui mi risponde con un tono lievemente didattico.
«Vede, la corruzione in questo Paese è una scelta facile per molte ragioni. Le norme, il costume, l’inefficacia dei controlli. Anche la tendenza ad autogiustificarsi, come ha scritto lei. La soluzione è rendere questa scelta faticosa, complicata, difficile. Inutile affidarsi alla speranza che gli uomini si comportino bene per ragioni etiche. Alcuni lo fanno, molti altri no. Lei e io, per ragioni diverse, sappiamo di cosa sto parlando».
«È un discorso un po’ teorico però».
«Glielo faccio diventare subito molto pratico. C’è una cosa semplice che si potrebbe fare subito e che produrrebbe il collasso immediato di questo sistema».
«E cioè?» «Eliminare il denaro contante. Basterebbe disporre che tutte le transazioni, escluse solo quelle per importi minimi, fossero con carte o con i telefoni cellulari. Non venitemi a dire che sarebbe impossibile, che complicherebbe la vita ai vecchietti che ritirano la pensione alle poste e altre sciocchezze. Tutti hanno un cellulare, ci vorrebbe al massimo qualche anno per portare il sistema a regime. Si potrebbe cominciare subito con l’eliminazione delle banconote di grosso taglio. Secondo lei chi maneggia pezzi da 500 euro? Via i 500, via i 200 e via anche i 100 euro. Sarebbe la fine della corruzione diffusa e, per inciso, anche dell’evasione fiscale, delle rapine in banca, dello spaccio di droga e così via.» «Le secca se da qualche parte la scrivo, questa conversazione? »
Autore di “La regola dell’equilibrio” (Einaudi)