domenica 14 giugno 2015

La Stampa TuttoLibri 13.6.15
Elena Croce e Zambrano, due donne per la libertà
di Angela Bianchini


Un libro bellissimo, a cominciare dal titolo, altamente simbolico, A presto, dunque, e a sempre. Lettere 1955-1990 (a cura di Elena Laurenzi) e, vorrei dire quasi unico nel suo genere. Abbiamo qui in forma integrale la lunga corrispondenza intercorsa tra due grandi donne che vissero per un lungo periodo nella stessa città: Roma o per lo meno in Italia e continuarono a scriversi anche nei periodi in cui María Zambrano dovette lasciare Roma per poi tornarci. Da una parte Elena, la figlia di Benedetto Croce scrittrice, fondatrice di riviste, e di circoli culturali, autrice di libri fondamentali sulla cultura italiana, e particolarmente su quella napoletana del dopoguerra, dall’altra María Zambrano, una delle figure più originali del panorama filosofico del 900, colei che ebbe parte attiva nella guerra civile spagnola e , dopo la disfatta repubblicana, prese la via di un lungo esilio durato 45 anni di cui 10 passati a Roma.
Queste due donne, che, di primo acchito, potevano sembrare diverse, avevano in comune il culto della libertà, l’anticonformismo, la tradizione liberale dalle radici umanistiche cristiane, dedicata al «valore della persona», come osserva Elena Laurenzi, l’attenta redattrice e studiosa di quella che chiama «una amicizia essenziale».
Per comprendere l’originalità e la profondità di questo rapporto occorre rifarsi non soltanto alla storia intellettuale di ognuna delle protagoniste, ma anche al clima particolare che accolse María Zambrano e sua sorella Araceli nel giugno 1953. Roma era una città , al tempo stesso, aperta e segreta, animata da uno «spirito vividamente internazionale». E di questo clima la rappresentante più vivace e più generosa era proprio Elena Croce. Per questo motivo si stabilì la solidarietà tra Elena e María. María Zambrano, che aveva appassionatamente difeso la libertà repubblicana dal franchismo e sentiva di essere destinata a un lunghissimo esilio, trovò proprio a Roma, come dice giustamente Elena Laurenzi «un porto - se non sicuro almeno accogliente – il calore di una sorta di famiglia».
A rendere unico il clima di questa amicizia era non soltanto la presenza di coloro che Elena Croce chiamava «gli spagnoli nostri», vale a dire il poeta Diego de Mesa, il poeta Enrique de Rivas, nipote del presidente repubblicano Manuel Azaña, il pittore e saggista Ramón Gaya e il poeta José Bergamín, ma anche di altri rifugiati provenienti dalla Germania hitleriana, dalla Grecia dei colonnelli e più tardi anche dall’Impero Sovietico e dalle dittature sudamericane. Per ricreare il clima di questa amicizia unica, che non conobbe mai alti e bassi, ma soltanto difficoltà dovute alla difficile posizione di esuli di María e di sua sorella, conviene ricordare le tante attività culturali promosse da Elena Croce che includevano individualità e anche luoghi molto vari. A contare era soprattutto la sua straordinaria vitalità che trovò riscontro in una persona come María seppur diversa.
Chi scrive ebbe la fortuna di conoscere da vicino la casa di Elena, che non fu mai un salotto bensì uno straordinario punto di incontro dove passato e presente si proiettavano sulle speranze dell’avvenire e dove i ricordi della «patria napoletana» sembravano rianimarsi e prendere nuova vita. Nessuna difficoltà, dunque, a immaginare la forza di un’ amicizia che dopo tanti anni ancora ci commuove e ci anima, ridandoci fiducia nella forza delle idee, nel libero scambio di pensieri e speranze. Un’amicizia che in ogni momento, anche i più difficili, sapeva di poter sopravvivere anzi di rimanere immortale.