domenica 7 giugno 2015

La Stampa 7.6.15
Tra gli ex insediamenti nella Striscia di Gaza “liberata” dagli israeliani
A 10 anni dal ritiro alcune colonie sono ormai macerie Hamas ne ha valorizzato altre: qui costruiamo il nostro Stato
di Maurizio Molinari


Atenei, campi militari, parchi per bambini e bar sulla spiaggia ma anche macerie, posti di blocco e serre abbandonate: a dieci anni dal ritiro degli israeliani da Gaza ciò che resta degli insediamenti che abbandonarono riassume l’identità di una Striscia che Hamas vuole trasformare in Stato.
«Benvenuti nella Bella Terra Liberata». Il cartello verde con il logo dell’Autorità palestinese segna l’entrata di quello che era l’insediamento di Netzarim. Di cui non è restata traccia. Su quelli che erano i campi agricoli campeggiano le bandiere nere della Jihad Islamica.
E sulla vetta del colle centrale case e palazzi sono stati rasi al suolo per lasciare spazio all’ospedale dell’Università Islamica, pagato dalla Turchia. Poco distante una grande ruota colorata svela l’esistenza di un parco giochi dove le scolaresche arrivano in appositi bus. Ad accoglierli c’è un gestore, Ahmed, che parla di «gioia doppia nel vedere questi bambini giocare lì dove c’erano gli occupanti». Per trovare tracce fisiche della presenza israeliana - durata dal 1967 al 2005 - bisogna arrivare fino all’incrocio con la Salahaddin Road dove durante le Intifade gli attentati erano frequenti.
L’avamposto militare
La base israeliana è divenuta un deposito di rottami d’auto mentre sul lato opposto c’è un posto di sorveglianza di Hamas che svolge mansioni simili a quelle degli israeliani di allora: controllare il traffico attraverso Gaza. Dall’ex Netzarim parte verso Sud la litoranea che attraversa Deir El Balah arrivando all’ex Gush Katif che fino al ritiro del 2005, voluto dal premier Ariel Sharon, era il «blocco» dove risiedevano la maggioranza dei 5 mila abitanti degli insediamenti che si estendevano sul 40 per cento della Striscia. Il posto di blocco di allora si riconosce per i lastroni di cemento che nessuno ha rimosso da un’ex base trasformata in deposito di spazzatura.
Subito dopo l’ex spiaggia degli insediamenti - c’era chi la chiamava «Palm Beach» - si presenta come una sorta di riviera di Hamas: piccoli bar e ristoranti dai nomi esotici, arredati con tende colorate, che consentono di mangiare a qualsiasi ora, con vista sul mare. Il cameriere del «Paradise», Mohammed di 24 anni, si ricorda «come se fosse ieri» il momento in cui «sparirono i posti di blocchi e potemmo entrare qui». «Non avevamo mai visto nulla di simile, una spiaggia così grande - dice, tradendo ancora emozione - perché fino a quel momento solo gli israeliani potevano accedervi, fu come entrare in paradiso». La «Deir El Balach Beach» è fiancheggiata sull’interno da campi di addestramento delle diverse milizie: non solo Hamas ma anche il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, i Comitati di resistenza, la Jihad islamica.
I campi d’addestramento
Sono i diversi colori delle bandiere a delimitare i terreni di addestramento, vere e proprie isole militari da cui si levano alte colonne di fumo. I militanti di Hamas circolano su grandi moto, la polizia sorveglia gli incroci e l’ex blocco degli insediamenti potrebbe sembrare una zona militare se non fosse per i parchi giochi. «Asda City», la Città dell’Eco, sorge sull’insediamento di Ganei Tal. È una Disneyland in miniatura che il manager Saed Abalder, 32 anni, descrive così: «Dopo il ritiro, tentammo di farne un grande set ma l’unico film girato fu “Ahmad Akel”, un eroe della resistenza contro gli ebrei, ed allora cambiammo programma, puntando sui bambini». Il risultato è un parco acquatico, circondato da giostre, trenini e perfino uno zoo dove la maggiore attrazione è un leone. «Lo abbiamo fatto arrivare due anni fa attraverso i tunnel, dall’Egitto - racconta Abalder - allora era talmente piccolo che entrava in una scatola». Fra cervi, struzzi e babbuini lo zoo di «Asda City» ha rimpiazzato nella Striscia quello dell’insediamento di Nezer Hazany, di cui non è rimasta una pietra. Sulla genesi delle distruzioni gli abitanti di Deir Al Balach riportano versioni diverse, c’è chi imputa agli israeliani «aver distrutto quasi tutto prima di andarsene» e chi invece ricorda quel ritiro come una «vittoria della resistenza» che portò a «voler cancellare le tracce dell’occupazione».
Simboli religiosi
Nessuna disputa c’è invece sulla sorte della grande sinagoga di Nevè Dekalim, il maggiore degli insediamenti. Fu un luogo simbolo perché chi si opponeva al ritiro tentò di resistervi, sfidando i soldati. I palestinesi l’hanno distrutta con una determinazione testimoniata dalle macerie lasciate in bella vista lungo la strada principale. Anche delle altre sinagoghe che sorgevano negli insediamenti nella Striscia non resta traccia. Intatta invece la «Sport Hall», il palazzo costruito per ospitare il basket, usato ancora nello stesso modo. Anche gli ex edifici del Consiglio di Nevè Dekalim sono in piedi: l’Autorità palestinese prima e Hamas poi - da quando nel 2007 controlla la Striscia - li hanno trasformati nella sede dell’ateneo di Al Aqsa dove studiano 28 mila alunni. È la più grande università del Sud della Striscia. «Ad ogni studente spieghiamo che qui vivevano gli occupanti e qui vogliamo costruire la vita dei palestinesi» dice Neamat Shaban Alwan, vicepresidente dell’ateneo, sottolineando che «siamo moderati, non estremisti e vogliamo la pace con tutti anche gli ex nemici».

Nel suo ufficio campeggia una piantina della Palestina, dal Mediterraneo al Giordano, che non indica la presenza di Israele, e nell’atrio interno al palazzo c’è una grande veduta della Città Vecchia di Gerusalemme. Davanti alla sede dell’amministrazione dell’ateneo c’è l’ex ospedale di Nevè Dekalim, che oggi ospita i corsi per studentesse - separate dai coetanei maschi - in gran parte coperte da niqab e chador, sebbene di colori e stili differenti. C’è anche una moschea, nuova di zecca, attorno alla quale è sorto un piccolo suk. «La ricostruzione di Gaza resta difficile perché ogni tanto arriva una guerra a rimettere indietro l’orologio» lamenta Shaban, mostrando l’elenco dei 45 studenti morti durante il conflitto della scorsa estate.
Ma nella Striscia in questi giorni ciò che prevale è il tam tam sui negoziati segreti fra Hamas e Israele. Vero o falso che sia, al mercato di Gaza è il tema del giorno anche perché Hamas ha accelerato la distribuzione di targhe fatte in proprio, con tanto di tricolore palestinese sovraimpresso. È il simbolo della volontà di diventare Stato. Il resto lo si trova al porto, dove Hamas ha apposto i cartelli «Arrivi» e «Partenze» facendo supporre che siano a buon punto le trattative con Israele per l’apertura della linea marittima fino a Cipro Nord che implicherebbe la fine del blocco economico e un cessate il fuoco di lungo termine con «il nemico».