domenica 7 giugno 2015

Corriere La Lettura 7.6.15
Metà dei geni dell’uomo sono gli stessi del lievito: merito di antenati comuni
di Edoardo Boncinelli


La somiglianza di fondo fra noi e altri organismi viventi è impressionante. Più di quanto ci si potesse immaginare, anche tenendo conto di quello che ci insegna la teoria dell’evoluzione biologica. Le somiglianze sono dovute, infatti, a una comune discendenza che ci imparenta più o meno strettamente con gli individui di questa o quella specie. Tutti sembriamo derivare infatti da antenati comuni, esistiti magari un miliardo di anni fa, come quelli che legano noi al lievito, un organismo unicellulare che vive e si riproduce in maniera estremamente diversa dalla nostra.
La rivista «Science» ha appena pubblicato un lavoro eccezionale di Edward M. Marcotte e collaboratori che mostra come la metà dei geni essenziali per la sopravvivenza delle cellule di un lievito, il comune lievito di birra, possono essere proficuamente sostituiti in tutto e per tutto dai corrispondenti geni umani. Il mio personale commento è che ciò è quasi incredibile, vista l’enorme distanza evolutiva fra noi e i lieviti.
Il fatto è che oggi la teoria dell’evoluzione non vive più di semplici osservazioni naturalistiche, come in un non lontano passato, ma di inconfutabili risultanze molecolari. Lo strumento più utilizzato è oggi la comparazione delle sequenze genomiche, visto che conosciamo ormai le sequenze del Dna della nostra specie e di moltissime altre, vicinissime o lontanissime dalla nostra. È questo che ci permette i confronti più raffinati, profondi e definitivi, fra i materiali genetici delle coppie di specie più diverse e varie, fornendoci la chiave per analizzare il grado di parentela fra noi e organismi primitivi oppure, al contrario, fra noi e i nostri cugini più stretti, gli uomini, e le donne, di Neanderthal o di Denisova.
Questo metodo diede risultati strabilianti già più di trent’anni fa, quando diverse équipe di ricerca, fra cui la mia, scoprirono che il gruppo di geni che controllano il corretto sviluppo del corpo e del cervello sono quasi gli stessi negli insetti, in particolare i moscerini della frutta, e in noi. Si capì allora che gruppi di geni di grande importanza si sono conservati quasi uguali durante centinaia di milioni di anni di evoluzione separata, come quella fra noi e gli insetti, e successivamente fra noi e un organismo assai primitivo come la planaria, il vermetto che, diviso in tante parti, sa rigenerare se stesso partendo da ciascuna di queste parti.
In realtà si intravide già allora una sorta di parentela con il lievito, ma i tempi erano molto prematuri e le metodologie assai primitive. C’era poi l’argomento che questi geni avevano una funzione così importante che non potevano cambiare troppo durante il processo evolutivo senza pregiudicare il compimento della loro opera.
Oggi è tutta un’altra musica. Il numero di tratti di Dna analizzabili è enormemente aumentato e le tecniche per verificare le similitudini o le differenze tra sequenze diverse sono sempre più potenti e raffinate.
Ogni mese apprendiamo di nuove comparazioni e nuove scoperte su parentele e gradi di parentela sempre più vari, fino a poter fare supposizioni su quando e come certi incroci sono avvenuti, come nel caso di noi e dei Neanderthal che sembra si siano potuti accoppiare in Europa durante un periodo relativamente breve di circa 5 mila anni. Oltre alla comparazione di sequenze di Dna diverse, esistono oggi molte altre metodologie di avanguardia per analizzare la similitudine, strutturale o funzionale, di sequenze appartenenti a specie diverse.
Che cosa hanno fatto i nostri autori? Hanno in primo luogo determinato quanti e quali geni posseduti dal lievito di birra sono essenziali per la sua sopravvivenza. Hanno poi prodotto ceppi di lievito che non riescono a sopravvivere perché hanno una lesione in ciascuno di questi geni. A ogni ceppo incapace di crescere hanno aggiunto un gene umano che sembrava più simile a quello di lievito presente in forma difettosa. Nella metà dei casi i geni umani sono stati in grado di compensare il difetto genetico e hanno così assicurato la sopravvivenza e la crescita del corrispondente ceppo originariamente difettoso. Un risultato decisamente strabiliante anche per gli addetti ai lavori di sicura fede evoluzionistica: esistono geni del nostro corpo capaci di sostituire i corrispondenti geni di lievito nel compimento delle loro funzioni naturali.
Il risultato ha stupito gli stessi scienziati che lo hanno ottenuto, i quali non hanno potuto fare a meno di chiedersi perché questo accade in una così alta percentuale di casi. In pochi, pochissimi casi si osservava infatti una certa somiglianza nelle sequenze del Dna dei geni in questione. In altri casi non si riusciva a osservare proprio niente; non bisogna dimenticare che non sono i geni che compiono direttamente certe funzioni ma i loro prodotti, che non sono sempre facilmente predicibili dalla sequenza dei geni stessi. In molti casi hanno scoperto che non era tanto il gene singolo che contava, ma il circuito genetico al quale quello apparteneva, in collaborazione con altri geni magari piuttosto diversi.
Hanno così scoperto che la chiave migliore per la predizione del successo di un esperimento non era la maggiore somiglianza fra le sequenze di base dei geni, ma il «modulo genetico» a cui appartengono. Un modulo genetico, o circuito genetico, è un gruppo di geni che lavorano insieme per svolgere qualche specifica funzione, per esempio sintetizzare il colesterolo necessario alla creazione della membrana cellulare nelle nostre cellule come in quelle del lievito. L’evoluzione sembra, cioè, tendere a conservare maggiormente vie di segnalazione e processi metabolici, anche complessi, piuttosto che i dettagli dei singoli geni, che possono andare anche incontro a piccole modificazioni senza intaccare la funzionalità del modulo stesso.
Per fare un esempio, supponiamo che una specifica proteina funga da «chiave» che si deve inserire con precisione in una «serratura» formata da un certo numero di altre proteine: tutto continua a funzionare anche se, pur cambiando la composizione delle singole proteine implicate, la nuova chiave entra con precisione nella nuova serratura. Col «senno di poi» è tutto logico e ragionevole, ma si tratta appunto del senno di poi: senza l’esperimento nessuno avrebbe potuto anticipare risultati tanto sorprendenti. Tutto ciò ha almeno due ordini di possibili conseguenze, rispettivamente per la pratica clinica e per la comprensione profonda dei meccanismi biologici. Per la pratica medica del futuro si possono immaginare gli scenari più avveniristici, per esempio inserire in cellule di lievito gruppi di geni umani, per studiarne in vitro il comportamento, gli eventuali difetti e come possano essere superati con trattamenti o farmaci nuovi e specifici. Fino allo studio di complessi circuiti genetici umani, analizzati indipendentemente dall’effetto di tutti gli altri.
Per gli aspetti teorici c’è ben poco da aggiungere. Anche se ci sono in giro ancora molte persone che «non credono» alla teoria dell’evoluzione — e se ne vantano — è molto difficile spiegare tutto questo senza pensare a una comune discendenza di tutti i viventi e a un meccanismo di progressivi cambiamenti ascrivibili alla continua comparsa di mutazioni seguite da un processo di selezione. Ma chi non vuole persuadersi, non lo farà nemmeno adesso, perché l’uomo è molto affezionato alle sue idee, specialmente a quelle sbagliate. Perché l’evoluzione stessa lo spinge a comportarsi così.