sabato 6 giugno 2015

La Stampa 6.6.15
C’è il rischio che la riforma della scuola
si trasformi in un’occasione mancata
risponde Mario Calabresi


Roberto Speranza, ex capogruppo Pd, a margine dei risultati delle Regionali ha dichiarato che «per la scuola abbiamo pagato un caro prezzo elettorale». Il giovane dirigente della minoranza dem ha espresso un giudizio condivisibile quanto sintomatico di una mentalità politicamente trasversale ed intergenerazionale che vuole governare senza scontentare nessuno.
Il problema, in questo caso, non è tanto l’agenda di Renzi ma l’illusione di vincere la battaglia delle riforme senza morti e feriti. L’idea di cambiare un Paese senza urtare nessuno equivale ad ammettere che lo stallo è l’esaltazione scacchistica o che lo 0 a 0 è la perfezione calcistica.
Scuola, lavoro, giustizia, pensioni ed immigrazione rappresentano oggi sfide che impattano sul presente e sul futuro della nostra comunità: al di là delle differenti strategie con cui affrontare queste priorità, è necessario convincersi che qualunque cambiamento venga attuato si riempirà una piazza gonfia di malcontento, specie se mancano le risorse per ubriacare la moglie e mantenere la botte piena.
Speranza è un politico serio e preparato, dimostra passione ed onestà intellettuale, ma sta scivolando senza rendersene conto nel calcolo giornaliero e certosino di ciò che non si deve decidere pur di non perdere voti. È un limite più pericoloso della bulimia di cambiare ad ogni costo asfaltando tutto e tutti, perché promuove un presente di mediocrità lasciando a chi verrà l’onere di progettare un futuro.
P. Chieppa

Penso anch’io che il Pd abbia pagato nelle urne il tentativo di riformare la scuola, ma non credo che questo fosse un esito scontato o obbligato. È chiaro che riformare significa cambiare e, ogni volta che si cambia, si creano scontenti e si fanno crescere opposizione e resistenze. Ma in questo caso la riforma aveva in partenza molti elementi che potevano far immaginare un esito completamente diverso: per la prima volta da anni c’erano investimenti consistenti accompagnati dall’assunzione di 100.000 insegnanti precari.
Una politica attenta e dialogante avrebbe potuto evidenziare con più chiarezza ogni elemento spiegando che le assunzioni potevano avere un senso solo nel quadro di una maggiore flessibilità nella distribuzione degli insegnanti nelle varie scuole.
Invece l’iter della legge è stato mal gestito, prima si era preparato un decreto poi si è passati a un disegno di legge e anche l’iter parlamentare è stato tormentato. Si sono scambiate la necessità di riformare e l’efficienza con una serie di forzature che hanno alienato il favore degli insegnanti.
Ora l’iter parlamentare sembra ancora più complicato e al Senato il governo sarà costretto a maggiori modifiche per venire incontro alla sinistra del Pd, con il rischio che alla fine si assista semplicemente ad una regolarizzazione di precari storici. Se così fosse sarebbe una vera occasione mancata.