sabato 6 giugno 2015

La Stampa 6.6.15
Lo Stato vittima e complice
di Alberto Mingardi


«Mafia Capitale» sta tutta in un’intercettazione di Salvatore Buzzi. «La mucca tu la devi mungere, però gli devi dà da mangià». Metafora leggermente imperfetta: a mangiare, più che la mucca (lo Stato), sono i pastori (la classe politica). Ma ci siamo capiti.
Parlando ai Giovani Industriali, il presidente dell’autorità anti-corruzione Raffaele Cantone ha detto che «la classe imprenditoriale italiana si nasconde dietro la corruzione per creare un sistema anti concorrenziale». Per fortuna la classe imprenditoriale italiana è anche e soprattutto altro: una galassia di aziende (piccole, medie, grandi) che giorno dopo giorno si guadagnano la fiducia dei consumatori. E tuttavia, non c’è dubbio che se a qualcuno viene garantita una rendita di posizione, farà quanto possibile per «mungerla» fino in fondo. La concorrenza è faticosa, dura, perennemente incerta. Dedicarsi alla mucca è tanto più facile.
Torniamo a un’altra intercettazione di Salvatore Buzzi, formidabile teorico del sistema, uscita sui giornali qualche mese fa. «Con gli immigrati si guadagna più che con la droga». Sottinteso: la droga è un mercato concorrenziale. Esistono multinazionali della droga e artigiani dello spaccio. I clienti sono fedeli fino a un certo punto. Prezzi più bassi o prodotti nuovi possono convincerli a cambiare fornitore. Che fatica.
Il «mondo di mezzo» funziona in un’altra maniera, una maniera che conosciamo sin troppo bene. E’ un mondo più semplice. La classe politica ha a disposizione risorse (che ha prelevato dai nostri redditi con le tasse) per svolgere tutta una serie di funzioni. Le può svolgere attraverso organizzazioni sottoposte direttamente al suo controllo: la burocrazia, nelle sue diverse articolazioni. O le può svolgere facendo ricorso ai privati. Questo accade non perché la pubblica amministrazione abbia sperimentato negli ultimi anni una svolta «liberista». Almeno in Italia, lo Stato non ha «esternalizzato» per sudditanza psicologica nei confronti del privato. Semmai è vero il contrario. La classe politica ha stabilito di essere il miglior fornitore possibile di tutta una serie di servizi. Ha dovuto coinvolgere i privati semplicemente per stare al passo delle sue promesse.
Questi privati stabiliscono col pubblico un rapporto perverso. Non vendono «prodotti» che il consumatore può portarsi a casa o lasciare sugli scaffali. La vita o la morte delle loro imprese è appesa alle decisioni discrezionali di pochissime persone, che peraltro spendono denaro non loro. La loro priorità diventa allora convincere quelle persone a spendere a loro vantaggio i quattrini del contribuente.
Di soluzioni semplici non ne esistono. Non è immaginabile che lo Stato faccia, «in house», tutti i servizi che è andato monopolizzando con gli anni. E nemmeno si può pensare che bastino più controlli e più controllori. E’ difficile sostenere che l’Italia sia un Paese in cui mancano le norme per sanzionare certi comportamenti.
Si può cercare, certamente, di automatizzare quanto più possibile i processi. Se un’autorizzazione me la dà un essere umano in carne ed ossa, gli posso allungare una bustarella. I computer pare siano impermeabili a queste lusinghe. Riducendo gli spazi di discrezionalità dei decisori, le regole somigliano di più ai computer: non ammettono eccezioni.
Bisognerebbe soprattutto far dimagrire la mucca: che dia latte solo quando assolutamente necessario. L’accoglienza agli immigrati è probabilmente una funzione pubblica insopprimibile. Si può però provare a ridurre l’intermediazione. Anziché dare i soldi a chi poi da da mangiare agli immigrati, tanto varrebbe darli all’immigrato che poi provveda a nutrirsi come vuole. Piuttosto che affittare le case per i richiedenti asilo, si potrebbe dar loro un voucher per scegliersi il padrone di casa che preferiscono.
Tante altre funzioni pubbliche non è affatto detto debbano essere tali. Il «mondo di mezzo» si è abituato a rifornirsi alla mangiatoia in cinquant’anni di para-Stato. Per fargli passare l’abitudine, bisogna restringere il perimetro pubblico: lo spazio in cui quel «sistema anticoncorrenziale» di cui parla Cantone mette radici, si sviluppa, prospera.