venerdì 5 giugno 2015

La Stampa 5.6.15
Tsipras, l’errore di non toccare i vecchi privilegi
di Stefano Lepri


Tre mesi fa, le condizioni oggi poste alla Grecia dai creditori sarebbero parse generose. 
Non sarebbero state necessarie nuove misure di austerità per raggiungere gli obiettivi desiderati, almeno quest’anno. 
Ora, tra il ritiro dei soldi dalle banche, i ritardi di pagamenti dello Stato ai fornitori, l’incertezza per le imprese, l’economia greca è talmente a terra che il bilancio pubblico è di nuovo in dissesto.
Da un lato, il meccanismo decisionale dell’area euro è così mal congegnato che non consente decisioni rapide. 
Se il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker avesse subito mostrato le carte, la Germania e gli altri Paesi rigoristi («i patti devono restare quelli firmati dal precedente governo greco») l’avrebbero sconfessato.
Dall’altro lato, come mostrano le ultime ore, il problema è assai più grave. Di fronte a una forte minoranza del suo partito che preferisce l’uscita dall’euro, Alexis Tsipras è stato costretto a mettersi da solo con le spalle al muro per giustificare un compromesso che ad altri parrebbe una resa; e nemmeno adesso riesce a convincere tutti a seguirlo.
Il risultato sarà un costo più elevato per tutti qualsiasi sia l’esito. Svanito nei tre mesi di braccio di ferro l’attivo primario di bilancio (al netto degli interessi da pagare ai creditori, nel 2014 le entrate superavano le spese) cade l’arma con cui Atene poteva con efficacia minacciare l’insolvenza. E l’eventuale uscita dall’euro sarebbe ancora più dolorosa.
Anche interrompendo i rimborsi ai suoi creditori la Grecia, nelle condizioni attuali, non avrebbe soldi a sufficienza per pagare stipendi e pensioni. Potrebbe farlo stampando a più non posso titoli di pagamento che sarebbe inevitabile trasformare poi in «nuove dracme», ma presto mancherebbe la valuta per acquistare all’estero viveri e benzina.
Questo forse non dispiacerebbe a chi, come la sinistra di Sýriza, ritiene che una misura da guerra come il razionamento potrebbe condurre verso una nuova economia non capitalistica. Ma in un Paese dove i ricchi tengono i soldi all’estero e i poveri mangiano cibo in gran parte importato, non è difficile immaginare chi perderebbe di più uscendo dall’euro.
Anche nell’opposto caso di un accordo, gli altri Paesi d’Europa, compresa l’Italia, dovranno accrescere l’aiuto alla Grecia (almeno 40 miliardi di nuovi crediti rispetto ai 30 di cui si parlava l’anno scorso); pur se si escogiterà una qualche formula contorta per celarlo agli elettori tedeschi.
I sacrifici per i greci che potevano essere evitati con un accordo più rapido consistono, nelle richieste attuali dei creditori, soprattutto in un nuovo aumento dell’Iva e in un’altra stretta al sistema pensionistico. Ma come è avvenuto, in cinque anni di austerità, che mentre si tagliavano pensioni già basse i numerosissimi statali ellenici vadano tuttora a riposo, in media, a 56 anni?
In astratto, si poteva aspettarsi che la «Coalizione della sinistra radicale» catapultata al governo si impegnasse per cambiare alla radice tutto il Paese; sembra paradossalmente timida, invece, nel disfare clientele e privilegi ereditati. E’ vero che l’austerità alla tedesca non funziona, che ridurre i salari di un quarto non ha ridato la crescita, ma dov’è il progetto da opporre?