giovedì 4 giugno 2015

La Stampa 4.6.15
Un bivio storico per la Turchia
La Turchia si avvicina alle elezioni politiche del 7 giugno in un clima di straordinaria tensione
di Roberto Toscano


Recep Tayyip Erdogan - eletto Presidente lo scorso anno - punta alla conquista da parte del suo partito, l’Akp, dei 300 seggi (su un totale di 550).
Un risultato che gli permetterebbe di indire un referendum per una revisione della Costituzione che introduca il passaggio dall’attuale sistema parlamentare ad un sistema presidenziale, un ulteriore passo avanti verso un regime sempre più dittatoriale nella sostanza, pur nell’apparente rispetto dei meccanismi elettorali di una democrazia.
Che la Turchia si trovi di fronte a una drammatica svolta e non a una normale ipotesi di modifica di forme istituzionali lo dimostra la violenza, tanto del linguaggio che delle azioni, di un uomo politico che sembra avere perso ogni controllo e superato ogni limite.
Due giorni fa l’avvocato di Erdogan ha presentato alla Procura una denuncia contro il Direttore del quotidiano Cumhuriyet, Can Dundar, chiedendo che venga condannato (a due ergastoli più 42 anni!) per avere trasmesso sulla rete televisiva del giornale un video, dello scorso gennaio, in cui si vedono agenti dei servizi turchi caricare armi su un camion destinato ai ribelli siriani. Erdogan aveva subito definito questo scoop giornalistico «una montatura» e «un atto di spionaggio»: una maldestra ammissione, dato che lo spionaggio, che per definizione rivela fatti reali che dovrebbero rimanere segreti, è l’opposto di una montatura.
Il fatto è che il Presidente turco sembra ormai ambire, in una regione dove impazzano le teorie cospirative, al titolo di campione assoluto del complottismo. Anche in questa circostanza, infatti, è tornato a denunciare le manovre della «organizzazione parallela», ovvero della rete di poteri occulti che sarebbe manovrata dagli Stati Uniti, dove risiede, da parte di Fethullah Gulen, suo ex alleato islamista e ora acerrimo nemico: per Erdogan, un sinistro e potentissimo «Grande Vecchio». Ma non basta. Infine, secondo Erdogan esisterebbe una cospirazione mondiale che mira «a dividere, disintegrare e fagocitare» la Turchia - una cospirazione di cui sono strumenti New York Times, Cnn e Bbc, che operano «seguendo le istruzioni di una mente suprema».
Sembrerebbe ridicolo se la situazione non fosse drammatica, e non solo per le sorti del popolo turco, che solo pochi anni fa si affacciava all’Unione Europea sulla base di una riconquistata democrazia e di uno straordinario sviluppo tanto economico quanto culturale. La deriva autoritaria interna si combina infatti con un’inquietante politica avventurista che ha portato la Turchia ad un allineamento non dichiarato, ma evidente, con il jihadismo più estremo. Fallito, soprattutto in Egitto, il progetto dei Fratelli Musulmani, che Ankara aveva fortemente ed apertamente appoggiato, il governo turco sembra non avere più remore nel sostenere le tendenze islamiste più radicali, un continuum (con il frequente passaggio di armi e combattenti) che va da Al Nusra, una «franchise» di Al Qaeda, allo Stato Islamico. Il ruolo della Turchia, assieme a quello dell’Arabia Saudita e dell’Iran, sarebbe essenziale per mettere fine all’atroce conflitto siriano e per isolare lo Stato Islamico, ma sembra che la politica di Erdogan si stia muovendo in tutt’altra direzione. Forse non esagera il leader del partito curdo Demirtaš quando sostiene che il Presidente turco aspira in realtà ad essere «il nuovo Califfo»: in altri termini, a stabilire un ruolo di egemonia «pan-sunnita» della Turchia sulla base di un modello politico autoritario islamista combinato con un’economia sviluppata. Un «modello turco» ben diverso da quello di cui tanti parlavano al tempo, che oggi ci sembra già molto lontano, di quella «Primavera araba» che aveva fatto sperare che potesse emergere una versione moderata, e compatibile con la democrazia, dell’islamismo politico.
Ma chi potrà fermare il disegno politico di Erdogan? I sondaggi fanno prevedere al massimo una flessione dei consensi del partito di governo, ma non una sua sconfitta. Il punto fondamentale, comunque, consiste nella possibilità o meno per Erdogan di fare approvare dal nuovo Parlamento il suo disegno di svolta costituzionale presidenzialista. A questo punto vale la pena cercare di capire quali siano le forze politiche che si oppongono all’Akp, e quali siano i loro limiti e le loro prospettive.
Il principale partito di opposizione, il Partito Repubblicano del Popolo - Chp, si presenta come un partito socialdemocratico e progressista, ma rappresenta nello stesso tempo i nostalgici del kemalismo e gli strati sociali più «occidentali» e urbani, ed ha difficoltà ad incidere sulla base di consenso popolare, tradizionalista nella religione e nei costumi, che ha permesso all’Akp di vincere ben tre elezioni parlamentari oltre a quella presidenziale.
L’unica possibilità di contrastare il disegno autoritario di Erdogan potrebbe essere la presenza in Parlamento - qualora riuscisse a superare l’alta soglia minima, il 10 per cento, fissata dalla attuale legge elettorale - dell’Hdp, il Partito Democratico del Popolo, un partito nato come curdo ma che ultimamente si presenta come partito nazionale, al punto che nei suoi ultimi comizi elettorali sono persino comparse bandiere turche. Una sua presenza in Parlamento potrebbe rendere impossibile il raggiungimento della soglia necessaria per l’approvazione della riforma presidenzialista, e addirittura - nel caso peraltro poco probabile di una forte flessione dell’Akp - permettere la formazione di una coalizione alternativa con il Chp.
Vale la pena di prestare molta attenzione alle elezioni turche di domenica prossima.
Quello che è in gioco è il futuro stesso di un grande ed importante Paese, e nello stesso tempo gli equilibri di una regione che sprofonda sempre più drammaticamente nella violenza e nella frammentazione territoriale. Una regione che avrebbe bisogno di poter contare sul ruolo di moderazione svolto da una Turchia stabile, prospera, democratica.