giovedì 4 giugno 2015

Il Sole 4.6.15
Intervista con Ahmed El-Tayeb, Grande Imam di Al-Azhar
«Così i crimini dell’Isis colpiscono i musulmani»
di Ugo Tramballi


IL CAIRO «Azhar insegna ai suoi studenti le disposizioni corrette dell’Islam, basate su giustizia, rispetto dei valori religiosi, accettazione dell’altro». Scorrendo le cronache del Medio Oriente, quello di Ahmed el-Tayeb sembra un lavoro controcorrente: diffondere moderazione in un mondo sempre più estremo nelle sue divisioni religiose e politiche.
Ma Tayeb ci è in mezzo: è il Grand Imam o Grand Sheikh di al-Azhar. La più importante autorità religiosa del mondo sunnita e guida della più prestigiosa fra le istituzioni islamiche. In carica dal 2010, è anche un protagonista degli anni più difficili della storia egiziana, gli ultimi quattro. «Nella nostra storia millenaria non c’è un solo studente che abbia abbracciato il pensiero estremista», chiarisce il Grand Imam nel suo ufficio di Azhar, nel cuore popolare del Cairo investito da un’inconsueta ondata di calore anche per questi climi: 46 gradi dentro una nuvola di sabbia. Tayeb ha appena ricevuto una piccola cupola in legno del duomo di Firenze. Il simbolo del Festival delle religioni organizzato dalla Fondazione “Luogo d’incontro”, cui il Grand Imam avrebbe dovuto partecipare insieme a papa Tawadros della chiesa copta, se non fosse stato trattenuto al Cairo. È stato l’ambasciatore italiano, Maurizio Massari, a portarglielo ad al-Azhar.
«Il mondo intero ha capito quale è il piano per la creazione di un diverso Medio Oriente - dice Tayeb descrivendo l’attuale caos della regione -. Esistono organizzazioni internazionali che vogliono sostituire le attuali nazioni in Paesi più piccoli, fondati su basi religiose. Rivestito da una falsa copertura religiosa, l’Isis è uno degli strumenti di questo piano».
Al centro del caos c’è però lo scontro millenario fra sunniti e sciiti. È d’accordo con questa interpretazione?
Si tratta di conflitti in gran parte artificiali, dietro cui si nascondono forze che vogliono trasformare il Medio Oriente in una regione in guerra permanente. Il ruolo di Azhar è ridurre gli effetti dei conflitti dottrinali. Abbiamo sempre condannato le reciproche aggressioni fra sunniti e sciiti, compreso l’attentato a una moschea sciita in Arabia Saudita.
Come definirebbe l’Isis?
Non si deve dare il nome di Stato islamico a questa organizzazione terroristica. Non esiste uno Stato islamico, esistono Paesi islamici che quei terroristi vogliono distruggere. La pretesa dell’Isis di creare un Califfato non è conforme all’orientamento di Azhar. Noi piuttosto auspichiamo la nascita di un’unione di Paesi musulmani sull’esempio dell’Unione Europea. L’Islam non può diffondersi o dominare con le armi ma con la logica, l’intelletto e la convinzione. Chi vuole abbracciare l’Islam lo può fare; chi vuol mantenere la sua fede lo può fare. Noi ci sforziamo di correggere le nozioni islamiche che l’Isis ha deformato: come quella della Jihad che gli estremisti hanno trasformato in sinonimo di violenza. Ci sforziamo di far rivivere un patrimonio di pensiero capace di convivere con religioni diverse, rispettando gli esseri umani di credo differente e considerando queste diversità una volontà di Dio.
Quali sono le responsabilità dei musulmani?
Presentare l’immagine positiva e corretta dell’Islam: è la responsabilità di ognuno del miliardo e 700 milioni di musulmani nel mondo. Per colpa dei crimini dell’Isis hanno subìto un grave danno, agli occhi dell’Occidente la nostra è diventata una religione che invita a odio e distruzione.
È per questo che il presidente al-Sisi vi ha esortati a compiere una «rivoluzione religiosa attesa dal mondo intero».
Il presidente ha dato visibilità mediatica a un problema che noi stiamo affrontando da tempo: la necessità di rinnovare il discorso religioso.
In cosa consiste la vostra rivoluzione religiosa?
Preferisco la definizione di rinnovamento del pensiero e delle scienze islamiche: noi non rivoluzioniamo la dottrina ma rinnoviamo il suo patrimonio storico, dandogli forma adatta ai nostri tempi. Azhar ha un ruolo guida nel rinnovamento del discorso religioso. Migliaia e migliaia di predicatori e teologi hanno studiato qui per diffondere l’Islam moderato. Ora stiamo compiendo innovazioni che sposano tradizione e modernità.
Oggi i cristiani d’Oriente sono perseguitati. Il Papa teme che il cristianesimo stia per essere sradicato dalla terra in cui è nato.
Lo temono tutti i popoli della regione, non solo i cristiani. Tutti stiamo pagando un prezzo: ogni giorno fra sciiti e sunniti viene versato molto più sangue musulmano di quanto non accada ai nostri fratelli cristiani. Azhar ha ripetutamente chiesto ai cristiani di non lasciare la loro terra, invitando i governi della regione a proteggerli e quelli occidentali a non incoraggiarne la partenza dalla loro patria.
Nel dialogo con l’Islam trova differenze fra Papa Francesco e Benedetto XVI?
Il dialogo fra le religioni è un’attività ininterrotta non solo con il Vaticano: è aperto a tutte le fedi e le culture. Nel 2011 eravamo stati costretti a interromperlo a causa delle affermazioni contro l’Islam di Papa Benedetto secondo cui i musulmani del Medio Oriente perseguitavano i cristiani: fu un’interferenza agli affari interni dei Paesi islamici. Con Papa Francesco il dialogo è ripreso.
Quali sono le responsabilità dell’Occidente nell’instabilità di oggi in Medio Oriente?
Sono responsabilità importanti. Gli Stati Uniti hanno lasciato l’Iraq in mano a milizie e ora il Paese vive in un mare di sangue. Così in Libia dopo le operazioni della Nato. La responsabilità della lotta al terrorismo dev’essere comune all’Occidente quanto all’Oriente.
In conclusione, veniamo all’Egitto: come giudica le centinaia di condanne a morte contro i Fratelli musulmani, compreso l’ex presidente Mohamed Morsi?
Le sentenze della giustizia egiziana sono un affare interno e non possono essere trattate dalla stampa.
Qual è il suo giudizio sui quattro difficili anni del Paese, dalla rivoluzione di piazza Tahrir a oggi?
Il passaggio da un regime a un altro può essere pacifico o sanguinoso. In proporzione al numero dei suoi abitanti, grazie a Dio in Egitto il numero delle vittime è stato limitato: soprattutto pensando a ciò che sta accadendo nei Paesi vicini. Da allora molte cose sono migliorate: prima di tutto la libertà di espressione. Ora c’è più uguaglianza e giustizia sociale. Gli egiziani sono riusciti a cambiare due regimi in meno di tre anni: prova della loro straordinarietà. Oggi la gente è in cammino verso una nuova era. Ma non possiamo trascurare i lati negativi delle rivoluzioni: l'entusiasmo eccessivo dei giovani a volte causa danni alla loro stessa rivoluzione.