mercoledì 3 giugno 2015

La Stampa 3.6.15
“Disoccupati raddoppiati dal 2008”
Visco: c’è stato un uso sbagliato della flessibilità. Camusso: non si può parlare di ripresa
di Giuseppe Bottero


Una valanga durata sette anni, che ha travolto tutti: dai giovani agli ultracinquantenni. Tra il 2008 e il 2014, mentre la crisi mordeva più forte, il nostro Paese ha visto raddoppiare il numero dei disoccupati, passati da poco meno di 1,7 milioni a 3,2 milioni. La fotografia della Banca d’Italia mostra la situazione più drammatica dal 1977, data di inizio delle rilevazioni. Il tasso di disoccupazione, spiega Via Nazionale, è balzato al 12,7%, mentre tra gli under 25 ha toccato il 42,7 per cento. Un record triste a cui si è arrivati in due tempi.
Tra il 2008 e il 2011 l’aumento delle persone in cerca di lavoro è stato più contenuto della perdita di posti: rispettivamente, circa 400.000 e oltre mezzo milione di unità. In quel periodo l’offerta più bassa, legata all’uscita dal mercato degli scoraggiati, aveva contenuto il tasso di disoccupazione all’8,4%. Poi il cambio di rotta: tra il 2011 e il 2014 le persone a caccia di un impiego sono cresciute di oltre un milione. Una situazione drammatica, avverte la leader della Cigl, Susanna Camusso: «Non si può parlare di vera ripresa se non cambiano i numeri dell’occupazione e non si cambiano i numeri se non decidendo una politica di investimenti pubblici e privati».
Il governatore Ignazio Visco, al Festival dell’Economia di Trento, spiega che dietro quei dati c’è un Paese che non cresce da vent’anni. «Di fronte alla sfida dei paesi emergenti e delle nuove tecnologie non ci siamo difesi con l’innovazione e gli investimenti, ma con la ricerca di minori costi, in particolare del lavoro. Di qui, un uso sbagliato della flessibilità «che ha portato ad un aumento insostenibile della precarietà, dell’insicurezza e dei rischi». Anche il «capitale umano» si è svalutato.
L’allarme sul debito
Visco auspica «interventi strutturali». Bisogna agire, dice, su tutti i fattori che frenano la ripresa, limare gli squilibri tra i Paesi in avanzo e quelli in disavanzo, garantire una distribuzione del reddito più equa. L’Italia deve scrollarsi dalle spalle il macigno del debito pubblico. E dire che l’occasione per tagliarlo c’è stata: non averlo fatto è uno degli “errori” a cui il numero uno di Bankitalia dedica il suo lungo intervento. Un allarme che viene rilanciato dal Fmi: il debito pubblico ereditato con la crisi è un «peso morto sull’economia, riducendo il potenziale di investimenti e le prospettive di crescita».
Il nodo delle imprese
Ma dietro la lavagna, secondo Visco, finiscono le imprese: piccole, avvitate su se stesse, incapaci di spezzare il doppio cordone ombelicale che le tiene legate alle famiglie fondatrici e alle banche. Il nostro Paese ha pensato di risolvere i problemi «con la leva del cambio e con la capacità di industriarsi», dice l’inquilino di Palazzo Koch citando il Nobel Modigliani. Se da noi l’80% delle Pmi ha manager famigliari, in Germania si scende al 30%. E i risultati si vedono: a maggio le richieste di sussidi sono scese per l’ottavo mese consecutivo, mentre il tasso di disoccupazione rimaneva invariato al 6,4%. Per far ripartire l’economia, conclude Visco, c’è bisogno di credito alle aziende, che non arriva perché «le banche hanno gran parte degli attivi immobilizzati», anche a copertura delle sofferenze. E per rendere il sistema più competitivo, incalza, dopo la riforma delle Popolari bisogna arrivare «in tempi rapidi» alla revisione della governance delle banche di credito cooperativo.