martedì 2 giugno 2015

La Stampa 2.6.15
E Latouche arruola Tolstoj tra i profeti della decrescita
di Massimiliano Panarari


Una genealogia che vuole essere una «contro-storia» delle idee. E una collana decisamente militante, con la finalità di ricostruire il pantheon degli antenati - e, dunque, di puntellare ed esibire i «quarti di nobiltà» - di una delle più travolgenti mode culturali di questi nostri tempi. Che sono neoliberisti e, quindi, per converso, hanno visto crescere in maniera considerevole la popolarità delle dottrine schierate contro l’«ideologia produttivistica» e la «megamacchina» della «crescita infinita».
Proprio il loro esponente più noto (e mediatico), l’economista anti-utilitarista Serge Latouche, è il direttore di una collana originale e, a suo modo, intrigante (anche se, come nel caso di chi scrive, non se ne condividono affatto fondamenti né, men che meno, prospettive), vale a dire quella dei «Precursori della decrescita», che Jaca Book pubblica dal 2014 insieme con le francesi «Editions Le passager clandestin». In questa galleria di capostipiti (nella quale sono stati inseriti, tra gli altri, l’anti-industrialista Charles Fourier, il Pasolini anticonsumista, il Berlinguer dell’austerità e Tiziano Terzani), si può trovare anche, ultimo arrivato, un Tolstoj in versione decrescista.
In questo Lev Tolstoj. Contro il fantasma dell’onnipotenza (pp. 82, € 9), lo studioso di filosofia Renaud Garcia antologizza brani tratti dalle opere più famose (Anna Karenina e Guerra e pace) e da saggi assai meno conosciuti (come Il denaro e il lavoro, Al popolo lavoratore, Lo schiavo moderno, Piaceri crudeli), che illustrano la sua contestazione, di matrice ruralistica, dell’ideologia del progresso (sia nella visione liberale sia in quella marxista) e la radicale messa in discussione dei meccanismi dell’economia politica. Nell’anarchismo cristiano e non-violento a cui lo scrittore russo approda in età avanzata (in occasione di una sorta di conversione morale che lo porta a rigettare la propria precedente esistenza come «non autentica»), il denaro non rappresenta un mezzo neutro per effettuare scambi e transazioni, ma uno strumento di dominio dell’uomo sull’uomo e di una classe sociale sulle altre.
Il conte Tolstoj (divenuto vegetariano per compassione nei confronti degli animali, componente essenziale del creato) rivendica di fatto - per ricorrere alla terminologia di Karl Polanyi - il senso «sostanziale» dell’economia contro quello «formale», perora la causa della riorganizzazione del lavoro (liberando tempo ed energie per il meditare e il conversare) e si conferma un durissimo critico della volontà di potenza, a cui oppone la sua interpretazione dell’ascetismo e della saggezza. E quindi, di sicuro, in questo pantheon antisviluppista ci sta comodamente.