martedì 2 giugno 2015

La Stampa 2.6.15
“A bordo la legge era la violenza”
Lo storico Rediker: ma non fate paragoni con i drammi d’oggi nel Mediterraneo
di Paolo Mastrolilli


«Le navi schiaviste navigano ancora. E non mi riferisco a quelle del traffico umano nel Mediterraneo, che l’Unione Europea farebbe meglio a non assimilare alla tragedia di due secoli fa».
La scoperta della São José riporta in vita l’orrore che Marcus Rediker aveva descritto nel libro La nave negriera (ed. Mulino) dove aveva spiegato nel dettaglio i meccanismi della tratta degli schiavi.
Perché è un fatto importante?
«Consente di raccontare quella tragedia in una maniera molto più efficace, dal vivo».
E’ la prima nave negriera ritrovata sul fondo del mare?
«No, ma è la prima affondata quando aveva a bordo degli schiavi».
Perché questo è rilevante?
«Se riuscissero a trovare dei frammenti ossei, gli antropologi potrebbero scoprire molte informazioni nuove sul trattamento degli schiavi e il livello di violenza a bordo».
Ci può spiegare il meccanismo della tratta?
«Le navi partivano dall’Europa, soprattutto Portogallo, Gran Bretagna e Francia, cariche di armi, polvere da sparo, beni manifatturieri metallici. Andavano soprattutto in Africa occidentale, e solo più tardi in quella orientale, dove scambiavano queste merci con gli schiavi. Quindi ripartivano per il Brasile, l’America del Nord, i Caraibi, dove lasciavano gli schiavi in cambio di materie prime come lo zucchero o il tabacco, che poi rivendevano in Europa. Facevano profitti tre volte. In questo modo sono state deportate dall’Africa tra 12 e 14 milioni di persone».
Come venivano trattati a bordo?
«La legge era la violenza, usata dal capitano per sedare qualunque rivolta: si andava dalle frustate che spellavano le vittime, all’omicidio. L’interesse dei trafficanti non era uccidere gli schiavi, perché così perdevano la merce, ma ammazzavano i più riottosi per dare l’esempio e dominare gli altri».
Perché lei dice che queste navi solcano ancora i mari?
«I problemi razziali che abbiamo in America derivano tutti da qui. La paura del nero, la segregazione, la violenza usata per domarlo, sono tutte eredità dell’epoca schiavista. Ne abbiamo discusso, grazie al movimento per i diritti civili, ma non abbastanza per superarle».
Perché non dovremmo assimilare quella tratta degli schiavi al traffico che avviene oggi nel Mediterraneo?
«L’Europa lo fa, per avere una giustificazione morale di come tratta i migranti, ma è un’operazione sbagliata e io ho firmato un manifesto con altri trecento intellettuali per oppormi».
Perché?
«Prima di tutto, l’origine: gli schiavi venivano trasportati contro la loro volontà, mentre i migranti di oggi scappano volontariamente da situazioni insostenibili per la guerra, le persecuzioni etniche o religiose, e la povertà. Gli schiavisti avevano paradossalmente l’interesse a consegnare viva la “merce”, mentre agli scafisti non importa la sorte dei passeggeri. Poi perché l’Europa, con gli errori commessi durante il colonialismo, ha una forte responsabilità nell’aver creato le condizioni che ora costringono questi poveretti a scappare».
Quindi cosa dovremmo fare?
«Non sono un politico e non ho suggerimenti pratici, ma dico che non dovreste usare il tema della lotta allo schiavismo per giustificare le vostre azioni. Piuttosto, dovreste riflettere di più sul ruolo che avete avuto».
Cosa intende?
«Gli Usa hanno gravissimi problemi razziali, ma almeno abbiamo cominciato una discussione sulle nostre responsabilità. L’Europa questa riflessione non l’ha mai fatta, eppure era una protagonista dello schiavismo. Questo ha contribuito a creare le difficoltà con cui adesso gestite l’arrivo dei migranti e il razzismo nelle vostre società. Non ne uscirete, fino a quando non affronterete con onestà la vostra eredità razzista».