martedì 2 giugno 2015

La Stampa 2.6.15
Premier sempre più convinto: la resa dei conti si farà in casa
di Marcello Sorgi


Voto chiama voto: lo dice senza mezzi termini Matteo Salvini, vincitore del voto di domenica, spiegando che dopo quanto è accaduto «nessuno crede più che si arriverà al 2018». Matteo Renzi, almeno ufficialmente, è di tutt’altro avviso: il suo commento al risultato che lo ha visto, sì, portare a casa cinque regioni su sette, ma secondo l’Istituto Cattaneo perdere nelle urne quasi due milioni di voti che avevano fatto del Pd alle europee del 2013 il partito del 40 per cento, malgrado la buona performance dell’esecutivo e le molte riforme varate.
In sintesi, il problema di Renzi è che né il governo - questo governo diverso da tutti i precedenti, composto per metà di donne e di ministri giovani -, pensato come un volano di consensi, né l’accelerazione imposta a qualsiasi costo al programma delle riforme, hanno portato voti. Come invece il premier aveva sperato. E un partito come il Pd, rissaiolo e spaccato fino all’ultimo sulla vicenda della lista degli impresentabili, addirittura allontana gli elettori, tal che una parte del calo percentuale è rifluito verso l’astensione. Ora, poiché l’urgenza delle riforme è richiesta all’Italia dall’Europa, e il piano su cui l’Italia s’è impegnata non può subire rallentamenti, Renzi è sempre più convinto che è sul partito che bisogna lavorare, chiarendo quel che va chiarito con la minoranza interna, e sopportando i rischi di altre micro-scissioni, ma arrivando a mettere il governo in condizione di poter realizzare il proprio programma, senza dover continuamente rinegoziare con l’opposizione interna e scontare le conseguenze del logoramento di fronte all’opinione pubblica. Un percorso del genere, ovviamente, non esclude un accorciamento della legislatura, ma richiede un po’ di tempo, perché appunto Renzi intende riorganizzarsi prima della resa dei conti finale. Salvini ha il problema opposto: uno stato di grazia con l’elettorato come quello uscito dalle urne che hanno raddoppiato, e in qualche caso triplicato i voti alla Lega, sorpassando Forza Italia, non tornerà più tanto facilmente. E l’idea di rimettere insieme i cocci del centrodestra, oltre a risultare impossibile al momento, potrebbe richiedere un prezzo alto in termini di compromessi da siglare con le altre componenti della coalizione, a cominciare da tematiche come Europa e immigrati, su cui Salvini ha costruito la sua fortuna. Meglio dunque continuare lo scontro diretto con l’altro Matteo, aspettando, ma non troppo, il momento di fronteggiarlo in un ballottaggio, in cui i voti di tutto il centrodestra dovrebbero gioco forza convergere sulla Lega.