venerdì 26 giugno 2015

La Stampa 26.6.15
Il martirio di Kobane
Un rovescio che spazza l’illusione di battere il califfato solo con i curdi
Se l’Occidente non si decide a inviare truppe perderà
di Domenico Quirico


È la visione di una guerra implacabile in cui sono aboliti i termini di tempo e di luogo, come la visione di un altro pianeta. Non c’è intreccio. Il suo ritmo è quello di una eruzione vulcanica e di un terremoto. Gli avvenimenti: una terra sconvolta dai bombardamenti, dai kamikaze, l’esplosione di un astro.
A tratti nel dipanare, a fatica, il bandolo delle battaglie del califfato pare di trovarsi su un piano ribollente, a tratti sulle lastre di un disgelo polare. I mezzi sono moderni, carri armati, cannoni, droni; ma il racconto ha echi leggendari, come le guerre di Erodoto.
Guerra per procura
Si lotta per città sconvolte, azzannandosi come animali in una terra colpita dall’incendio o dall’inondazione. La terra si lacera come un cratere e a essa si aggrappano inutilmente gli esseri umani, gli islamisti e i loro avversari.
Kobane era il nome, fino a ieri, di una possibile speranza. Il lume di una vittoria, l’unica. Ecco: i jihadisti non sono invincibili, non tutti fuggono davanti a loro, i bravi curdi li cacceranno indietro, riconquisteranno per noi il terreno perduto, la piana di Ninive, Mosul, il confine con la Turchia. La strategia della guerra per procura: fornire armi, ne abbiamo gli arsenali pieni, denaro, lodi e medaglie.
Per difenderci contiamo, insomma, sui nostri difetti. I guerrieri della montagna ci risparmieranno antiestetiche invasioni, vittime nostre, penose polemiche sugli interventismi. Soprattutto allontaneranno il momento in cui dovremo verificare se l’Occidente ha ancora il coraggio di battersi: per una giusta causa o per sopravvivere. Non c’è qualità più irritante di questa furberia paesana, travestita di retorica o di machiavellismo di latta.
I curdi a Nord, gli sciiti a Sud: la tenaglia perfetta in cui schiacciare il califfato. Strategie di mediocri, alambicchi di maldestri Napoleoni da cocktail.
Eppure le troppo sbandierate «avanzate» curde avevano suscitato in Occidente uno dei pochi slanci popolari di questa guerra sciagurata vissuta come un incubo esotico e fastidioso. Il popolo della montagna che lottava, una fatica antica, aggrappato alle sue pietre era come il ricordo lontano di cose che un tempo avevano valore ed erano considerate la grandezza dell’uomo. Faceva battere il cuore, come i finlandesi che da soli tenevano a bada l’orso staliniano, molto tempo fa.
Cambio di fronte
Purtroppo i curdi, e ancor meno gli sciiti, non basteranno. Il califfato non retrocede, avanza. La frontiera turca è vitale per i suoi traffici, i rifornimenti, il passaggio degli uomini e del denaro. Non può perderla, resterebbe tagliato fuori dal suo unico vero alleato, Erdogan. I miliziani di Abu Bakr al Baghdadi sembrano disporre delle migliori virtù guerresche, la malvagità astuta, la perseveranza della formica, la perversa ostinazione. Perdono una battaglia? Cambiano fronte. Rispondono con un’offensiva, sono rapidi, efficaci, senza pietà. L’orrore li precede come una avanguardia che squarcia la strada. Tornano a riprendersi ciò che avevano perduto. Veterani dell’era delle guerre del fanatismo sono assorbite da lei, li assimila come un lungo interminabile intestino; stende il suo calore sui loro volti, sulle mani, diviene familiare al loro tatto. E si è insinuata col fiato muffito nell’anima di questi giovani.
È una nuova specie umana che avvampa, gli odiatori senza speranza a cui i loro comandanti possono chiedere tutto. Il veleno è bevuto, la stregoneria è fatta.to, la stregoneria è fatta.