La Stampa 26.6.15
“Chi suona Beethoven ha i nostri stessi vizi”
Malcolm McDowell è tra i protagonisti di “Mozart in the Jungle”
di Luca Dondoni
Se il sadismo del «drugo» Alex DeLarge di Arancia meccanica vi ha incollato allo schermo e non vi ha fatto dormire, sarete felici di sapere che l’attore che lo impersonava, Malcolm McDowell, è uno dei protagonisti di Mozart in the Jungle. Oggi mister McDowell è un arzillo 71enne con tre matrimoni alle spalle e cinque figli, ma è in gran forma. E - al telefono dalla sua casa di Ojai, in California - si infervora nel raccontare di sé nei panni dell’anziano direttore d’orchestra della New York Symphony.
Mister McDowell, dopo tanti anni e tanti film, la musica classica torna nella sua vita.
«Sono sempre stato un amante della classica e, sebbene venga da Liverpool e la mia gioventù sia stata segnata dai Beatles, non ho lasciato da parte Mozart, Beethoven, Brahms, e Wagner. Li adoro come adoro la musica in generale. Sono onnivoro. Mozart in the Jungle è stata ed è (in questi giorni sta registrando la seconda stagione, ndr) occasione per approfondire la mia passione».
In «Arancia Meccanica» la Nona di Beethoven diventa uno strumento di tortura.
«Sì, ma a parte la finzione scenica debbo molto a Stanley Kubrick perché grazie a quel film e a quelle riprese Beethoven è entrato nella mia vita e non se ne è mai più andato. Tra l’altro l’esecuzione che mi avevano fatto ascoltare era tedesca. La ricordo enfatica e piena di pathos».
In «Mozart in the Jungle» interpreta un anziano direttore che deve lasciar spazio, senza volerlo, al giovane Gael García Bernal. Sì è rifatto a qualche direttore in particolare?
«No, e se anche lo avessi fatto non sarebbe carino dirlo perché di direttori anziani ce ne sono parecchi in attività. È stata farina del mio sacco. Mi sono messo nei panni di chi, come tutti i direttori d’orchestra, viene considerato un Dio ed è trattato come tale e a un certo punto deve lasciar spazio a qualcuno trattato meglio di lui».
Non c’è puntata della serie dove non ci sia del sesso e non si facciano riferimenti a droghe o alcol. Tutte cose che sembrano distanti dalla percezione che si ha di quel mondo.
«E questo fa funzionare la serie. Per quale motivo degli esseri umani che vivono nella modernità di una città come New York, dovrebbero essere esenti dai vizi dei loro simili?».
Quando è stato ingaggiato si aspettava il successo che ha riscosso la prima stagione di «Mozart in the Jungle»?
«Certo che no e molto del successo dipende secondo me dal “binge watching”, la possibilità di avere a disposizione subito tutti gli episodi di una stagione tivù. Ormai in America è consuetudine, basta pensare al successo di House of Cards, Orange is the New Black e, mi permetta, al nostro».