La Stampa 25.6.15
La carica dei mini-partiti
Vince chi fa perdere
di Marcello Sorgi
La nascita di una nuova formazione/movimento/partito a sinistra, dopo l’uscita di Fassina dal Pd, e a destra dopo le scissioni di Alfano e Fitto da Forza Italia, sollecita una domanda: com’è possibile questa crescente frantumazione politica nel Parlamento che ha appena approvato una legge che prevede una competizione tra due sole liste, e non più due coalizioni? Certo, l’alleanza di Fassina, Cofferati, Civati, Fratoianni e forse l’intera Sel può ambire a superare il 3 per cento che rappresenta la soglia minima prevista dall’Italicum per entrare alla Camera. Ma se l’ambizione è di rappresentare una diversa sinistra di governo, alternativa a quella di Renzi e del centrosinistra, con percentuali così basse, ma anche leggermente superiori, non si va molto lontano. Se invece l’obiettivo era quello di portare fuori dal Pd quel che rimane della componente post-comunista sconfitta all’ultimo congresso, Fassina e Civati ci hanno pensato troppo tardi: ormai la parte più consistente degli ex-Pci, o è passata con Renzi, o si è collocata in posizione dialogante con lui.
Analogo discorso riguarda il centrodestra. L’ipotesi, che accomuna Alfano e Fitto, di intercettare i voti berlusconiani man mano che la crisi politica dell’ex-Cav. diventa irreversibile, teoricamente ragionevole, s’è rivelata impraticabile da quando a destra è comparso il ciclone Salvini; e soprattutto da quando è diventato chiaro che con la metà della gente che non va più a votare, le elezioni le vince chi riesce a mobilitare meglio i propri elettori, come appunto ha fatto l’altro Matteo, attirando dalla sua parte anche un buon numero di voti ex-Forza Italia.
Malgrado ciò, chi fonda un partitino, oggi, ha diversi possibili sbocchi: primo, porre le premesse per la sconfitta del partito da cui è uscito (è il modello Liguria, inaugurato da Cofferati e Civati, ma replicato in Puglia da Fitto e Alfano); secondo, sperare in un nuovo cambiamento della legge elettorale, che riapra la strada al confronto, non tra liste, ma tra coalizioni (all’interno delle quali è possibile negoziare la propria presenza, a fronte di qualche garanzia programmatica, e del timore dei partiti maggiori di perdere le elezioni anche per pochi voti); terzo, alla peggio, sfruttando lo stesso timore, trattare per entrare in una “lista-contenitore” (copyright Berlusconi), riservandosi di fondare successivamente un proprio gruppo in Parlamento. Delle tre ipotesi, la prima, alla prova dei fatti, risulta la più sperimentata. Con buona pace del bipolarismo che le Camere hanno tentato di rimettere in piedi votando l’Italicum.