sabato 20 giugno 2015

La Stampa 20.6.15
Il killer di Charleston voleva un’altra guerra civile
Dylann preparava l’attacco da 6 mesi
I parenti delle vittime: ti perdoniamo
di Paolo Mastrolilli


Occhi cerchiati di nero, puntati verso il basso, mentre i parenti dei 9 fedeli che ha ammazzato lo perdonavano. Così è apparso Dylann Storm Roof all’America, durante la prima audizione in tribunale per processarlo del massacro di Charleston. Cupo, ma non pentito, secondo gli investigatori che lo hanno interrogato: ha ammesso la strage, ha detto che la gentilezza delle vittime a un certo punto lo aveva spinto a riconsiderare il suo piano, ma poi ha deciso che doveva portarlo avanti fino in fondo per punirli del fatto di essere neri.
Il compagno di stanza
Il primo sguardo nell’anima di Dylann lo ha offerto Dalton Tyler, un ragazzo che aveva condiviso con lui la stanza da letto: «Si drogava, un sacco. Ha pianificato l’attacco per almeno sei mesi. Diceva che voleva una nuova guerra civile, per fermare i neri che si stavano impadronendo del paese, ed era pronto a morire per farlo. Voleva che le sue motivazioni fossero note, per istigare altri a seguirlo».
Davanti agli inquirenti, Roof ha confermato tutto: «Li ho uccisi io», ha detto. Aveva scelto il target perché voleva colpire una chiesa nota nel movimento dei diritti civili. Quindi è entrato e si è seduto col gruppo che stava studiando la Bibbia. Lo hanno invitato a unirsi a loro, ma ha rifiutato. «Erano così gentili - ha detto ai poliziotti - che per qualche minuto ho pensato di rinunciare all’azione. Poi però mi sono convinto che dovevo portarla a termine». Si è alzato e ha armato la pistola Glock calibro 45, che aveva comprato legalmente con i soldi ricevuti per il ventunesimo compleanno: «Volete qualcosa per cui pregare? Ora ve la do io!». I fedeli non hanno visto l’arma; se ne sono accorti solo quando hanno sentito i primi colpi, sparati a bruciapelo. Qualcuno ha cercato di fermarlo: «Non farlo. Perché?». Lui ha risposto duro: «Devo. Violentate le nostre donne, state prendendo l’America. Dovete andarvene». Il reverendo Clementa Pinckney di 41 anni, Sharonda Coleman-Singleton di 45, Cynthia Hurd di 47, Susie Jackson di 87, Ethel Lance di 70, DePayne Middleton e Tywanza Sanders di 26, e Myra Thompson di 59, sono morti subito. Daniel Simmons, 74 anni, è spirato all’ospedale.
Durante la prima audizione davanti al magistrato James Gosnell ha solo ammesso il nome, la residenza e il fatto di essere disoccupato. I famigliari dei morti sono entrati nell’aula del tribunale, dove Dylann li guardava via video dalla prigione. «Io - ha detto la figlia di Ethel Lance - voglio solo che tutti lo sappiano... Io - ha aggiunto fra i singhiozzi - ti perdono. Non parlerò mai più a madre. Non potrò mai più abbracciarla. Ma ti perdono, e abbiano pietà della tua anima». È stato così con tutti i parenti che hanno avuto la forza di prendere la parola. Fedeli allo spirito delle vittime, nessuno ha alzato la voce, nessuno ha imprecato. Solo due concetti, comuni a tutti, ripetuti fra le lacrime: «Ti perdoniamo, non lasceremo che l’odio vinca».
Il giudice Gosnell ha deciso di aggiungerci una sua riflessione, che sarà pure nello spirito della riconciliazione, ma ha lasciato molti perplessi: «Oltre alle vittime, ci sono anche vittime dalla parte della famiglia di questo giovane, che non si sarebbe mai aspettata di trovarsi in questa condizione. Aiutiamo anche loro».
Il problema è che il razzismo è endemico alla South Carolina, come ci ha detto Sue Monk Kidd, autrice del bestseller «L’invenzione delle ali», che racconta la storia di Sarah Grimke, ragazza bianca bandita da Charleston perché era diventata un’attivista anti schiavismo. Sul pennone del palazzo del governo sventola ancora la bandiera confederata, e la reazione istintiva dei conservatori dopo la strage è stata simile quasi ovunque: colpa dell’instabilità mentale del killer, e del fatto che le vittime non avevano armi per difendersi. Poi si sono arresi davanti all’evidenza, e la governatrice Nikki Haley ha chiesto la pena di morte. Dylann ha abbassato la testa, ed è tornato in cella. Non pentito.