lunedì 1 giugno 2015

La Stampa 1.6.15
“Podemos, leninisti che vogliono potere non cambiamento”
Savater: flirtano coi separatisti, la Spagna rischia
intervista di Francesco Olivo


Sono giorni poco allegri per Fernando Savater, nella vita familiare, l’amatissima moglie è morta da due mesi («e la filosofia non serve a consolare»), e in quella pubblica, con la batosta elettorale di Upd il partito liberal socialista che anni fa contribuì a fondare. Ma una grande inquietudine per il filosofo basco deriva dal («relativo») successo di Podemos, «un gruppo di marxisti che prende il potere in stile leninista».
L’autore di «Etica per un figlio», il cui ultimo lavoro tradotto in italiano è «Piccola bussola etica per il mondo che viene», edito da Laterza, si è stabilito nella sua San Sebastián, nei Paesi Baschi, «c’è il mare, passeggio molto e provo a finire il libro che avevamo cominciato con mia moglie Sara». A settembre sarà in Italia, ospite di Torino Spiritualità. Per qualche giorno, intanto, è tornato nella sua casa di Madrid e ragiona su queste ore così convulse per il suo Paese.
È davvero un’era nuova per la politica spagnola?
«Sicuramente sì, il bipolarismo era stato finora quasi assoluto. Ora sono arrivate nuove formazioni che, pur avendo preso meno voti del previsto, saranno capaci di condizionare la vita politica».
Il fenomeno del momento è Podemos, solo una moda?
«È un partito marxista che si è adattato alla situazione politica, approfittando della crisi e del risentimento generale».
Davvero niente di interessante?
«Hanno minacciato vendette, più che fare promesse».
Sono utopisti?
«L’utopia è il sogno di pochi, che diventa l’incubo di molti».
Alcuni li accusano di ingenuità.
«Al contrario, hanno una strategia, conoscono Machiavelli, vogliono il potere, non cambiare il Paese. Operano con classica tecnica leninista, un piccolo gruppo che detta la linea».
Ne parla quasi con paura.
«Sì, mi spaventano».
Non la rassicura il fatto che i loro toni siano ultimamente più moderati?
«Dimostra, semmai, la loro abilità. Hanno capito che conveniva sembrare più moderati. Hanno fatto dei master in comunicazione politica, mica sono degli improvvisati, e infatti, se guardate oggi Pablo Iglesias potreste non accorgervi che è lo stesso estremista che conduceva un programma tv. Un fenomeno. Per fortuna c’è YouTube che conserva quelle prediche».
Li accusano di essere legati al Venezuela.
«Non è una semplice simpatia, ma un vincolo politico stretto. Me ne sono accorto di persona, ero in Venezuela a dare lezioni all’università e mi dissero “a Caracas c’è uno spagnolo che dice che la vera democrazia è quella di Chavez”. Mi sono informato: era Monedero, il numero tre di Podemos».
In fondo, però, Iglesias e Monedero sono suoi colleghi dell’università Complutense, vi sarete conosciuti in questi anni.
«Certo, ricordo bene quando nella loro facoltà agivano da dittatori, parlavano solo quelli che la pensavano come loro».
Qual è la posizione di Podemos che più la inquieta?
«L’ambiguità sul nazionalismo, nei Paesi Baschi e in Catalogna. Nemmeno davanti ai fischi all’inno spagnolo allo stadio di Barcellona hanno preso una posizione chiara».
Chi esce peggio dalle ultime elezioni, popolari o socialisti?
«I socialisti. Sarà molto difficile non farsi fagocitare da Pablo Iglesias».
E Rajoy?
«Ha parlato di macroeconomia, di ripresa, ma finché la gente non se ne accorge è un errore».
Lei Savater, filosofo dell’etica, è indignato dalla corruzione che dilaga in Spagna?
«Sì, è talmente presente in tutti gli ambiti che sembra un sistema di governo. A queste brutte cronache Rajoy non ha saputo opporre un’alternativa».