venerdì 19 giugno 2015

La Stampa 19.6.15
Il rancore dei bianchi emarginati nel Sud che odia anche il futuro.
Restano le ferite della guerra civile, mentre l’era digitale allarga i fossati
di Gianni Riotta


Una studentessa di un’università americana riceve in dono dall’Italia un pacchetto di cioccolatini Nougatine, e – ringraziando – rifiuta il regalo.
«Non è possibile - spiega - offrire nel campus un dolce con la figurina di un “negretto”, si offenderebbero tutti non solo gli afroamericani». Ma nello stesso Paese che censura caramelle, libri, film e passato per non irritare nessuno, che pratica negli asili delle città una pedagogia alla melassa sull’amore cosmico cantando l’inno Kumbaya, un ragazzo si presenta armato in una pacifica chiesa del Sud e uccide a sangue freddo – «In cold blood» come nel libro di Truman Capote – nove innocenti.
Leggeremo ora troppe parole sul ritorno del razzismo in America, sull’ancestrale feroce codice «Jim Crow», le leggi scritte e no contro i neri, del Sud rurale che seminò più morti che in tutte le altre guerre americane, per difendere nella Guerra Civile la schiavitù. Ma non cercate i demoni che hanno spinto all’assassinio Dylann Roof, 21 anni, nel passato d’America, nel Ku Klux Klan, nello stupro dei latifondisti contro le schiave, nei pregiudizi contro i soldati neri, che ancora durante la Seconda guerra mondiale non mangiavano il rancio con i commilitoni bianchi: l’esercito che si batteva contro il razzismo nazifascista era razzista.
Il ceto medio impoverito
Non è la storia ad armare Roof e gli altri bianchi razzisti, né l’odio distillato ai tempi di John Brown e dei suoi raid per liberare i neri, è lo smarrimento americano del XXI secolo, la fine del mito della superpotenza, la confusione del ceto medio bianco, impoverito da tecnologia e globalizzazione, stupefatto nel vedere gli immigranti dirigere un terzo delle aziende a Silicon Valley, un presidente afro americano, cerebrale, ogni mito, Hollywood, lo sport, la musica, la moda, lo slang, il look dominati dall’immagine afroamericana. Con lo spagnolo che sorpassa l’inglese, il calcio che diverte più del baseball, l’America pedante che impone i suoi canoni censurando Omero e Shakespeare, gli esclusi, i bianchi che non riescono a camminare e crescere nel presente, si rifugiano in un odio contro i neri che non ha le vecchie fole della razza ariana come movente, ha il rancore, il risentimento per la fine di un’illusione di grandezza crudele.
Bene fa il presidente Barack Obama a usare ancora una volta il pulpito della Casa Bianca per predicare contro le troppe armi che infestano gli Stati Uniti, e danno a ogni estremista invasato occasione di strage. Ma se anche il Congresso, paralizzato da una guerra di bande destra-sinistra che si placa in tregua solo per fare danni populisti come il no al patto sui commerci, varasse un porto d’armi rigoroso stile Europa, il veleno sublimato da questa America orfana di valori condivisi troverebbe altri strumenti di vendetta. Nel 1995, a Oklahoma City, l’ex soldato McVeigh fece strage facendo detonare fertilizzanti chimici.
Sul web i caduti della chiesa Emanuel African Methodist Episcopal, che hanno invitato fino all’ultimo il killer a unirsi a loro nella lettura della sacra Bibbia, diventano volti da santino, Spoon River che commuove. Il senatore della Carolina, Clementa Pinckney, pastore e parlamentare, il cui scranno è ora coperto di velluto nero con una rosa; il ragazzo Tywanda Sanders, neo laureato, sulle foto di Facebook con il cappelluccio da duro del rap smentito dal sorriso dolce e l’impegno in parrocchia; Sharonda Coleman-Singleton, bellissima mamma di un giocatore di basket; la paciosa Cynthia Hurd, bibliotecaria della Contea di Charleston.
Ogni strage ha una sua Via Crucis unica e dolorosa, ma asciugate le lacrime l’America integrata e multirazziale del 2015 resta contratta nel dilemma. Negli Stati del Sud e del Nord estremo, calcola il Southern Poverty Law Center, attecchiscono i gruppi razzisti, proprio perché nelle aree rurali, al contrario che nelle metropoli, non c’è comunicazione, dialogo. Isolati tra di loro, i bianchi odiano di più che frequentando minoranze nella vita di ogni giorno, non di meno. Gli estremisti di destra hanno ucciso più poliziotti dei terroristi islamici, calcola il «New York Times». La radice del male non è nell’odio privato di Dylann Roff, è nell’angoscia pubblica di un Paese che ha perduto ideali e speranze comuni, atomizzato tra amici e nemici digitali, scambiando anche le pallottole per un delete online, illuso che bandire le Nougatine esorcizzi la realtà.