La Stampa 18.6.15
“Uno schiaffo all’integrazione. Torna la Budapest imperiale”
Lo scrittore Pahor: Orban bluffa, Bruxelles reagisca con fermezza
intervista di Mario Baudino
Boris Pahor, il grande scrittore triestino di lingua slovena divenuto popolare in italiano con «Necropolis», un viaggio nell’orrore concentrazionario già esaltato, al momento della sua traduzione, in tutta Europa, non vuole credere al muro ungherese. A 102 anni, lucidissimo, continua a scrivere e a testimoniare: è appena uscito da Bompiani «Triangoli rossi», un viaggio nei «campi di concentramento dimenticati», quelli di cui nessuno parla. «Un baedeker, una guida di viaggio», scherza amaramente l’autore. E gli piacerebbe pensare che anche il muro ungherese sia uno scherzo, una annuncio «stravagante».
Pare proprio che facciano sul serio.
«Purtroppo. È caduto il Muro di Berlino e ne sorgono altri, sto pensando anche a Israele. Dev’essere una specie di malattia».
Il vicino Oriente però è zona di guerra.
«E l’Europa dovrebbe essere una zona di pace, che abbatte le frontiere. Invece si scopre quanto ciò non sia del tutto vero, e come sia facile tornare indietro. L’Ungheria è però un caso con caratteristiche particolari, pur in un contesto dove la sua politica trova echi e risonanze. Ha storicamente quello che definirei uno “spirito dominante”; non dimentichiamo che quando la corona era unita a quella dell’imperatore asburgico, ha esercitato la sua influenza fino all’Adriatico».
E Pola era il «suo» porto.
«Questa però è storia. Anche se non archiviabile con un’alzata di spalle. Pensi alla politica di Putin: c’è un pericolo di guerra anche da noi, basta poco per precipitare nel gorgo. E il pericolo non può essere ignorato pensando che sia impossibile, che il passato ritorni».
Vede il nuovo muro in questo orizzonte?
«No, o almeno non voglio. Credo e spero che l’Ungheria stia lanciando dei ballon d’essai. Del resto pochi mesi fa il premier aveva addirittura ventilato il ripristino della pena di morte».
Nell’aprile scorso. Il primo ministro Orban lo aveva fatto sull’onda dell’emozione popolare per l’assassinio di un giovane tabaccaio nel Sud del Paese.
«La ferma reazione di Bruxelles - un Paese con la pena di morte non può restare in Europa, lo dicono i trattati - lo ha costretto a una precipitosa marcia indietro. Ora ci risiamo».
Secondo lei il muro potrebbe restare alla fase di annuncio?
«Dipende dalla fermezza con cui le istituzioni comunitarie sapranno reagire. Proprio nel momento in cui l’Unione apre alla Serbia, questa iniziativa ha il sapore di un altolà politico, di uno schiaffo all’Europa, più che di una misura - probabilmente inutile - per contenere l’immigrazione».