giovedì 18 giugno 2015

La Stampa 18.6.15
L’Istruzione e il Campidoglio, le vere sfide del segretario
di Marcello Sorgi


All’ombra del grande scontro sulla scuola appena cominciato la strategia di Renzi per i prossimi mesi si delinea come una sorta di campagna elettorale permanente. Parola d’ordine: cancellare con una rivincita, prima possibile, la battuta d’arresto dei ballottaggi delle amministrative, perché il termine sconfitta non trova posto nella narrativa renziana, e perché il premier è convinto che solo un saldo rapporto personale e diretto con l’elettorato, una platea da tenere in stato di continua mobilitazione, può risolvere le criticità emerse un anno dopo la grande vittoria del 40,8 per cento alle europee.
Contrariamente a quello che molti dall’interno del Pd gli suggeriscono, cioè di dedicarsi a un’opera di ricostruzione del partito soprattutto in periferia, Renzi pensa che l’opinione pubblica lo segua solo quando si oppone alle incrostazioni del Pd: di qui appunto la decisione di cercare la sfida sulla scuola in Senato con gli oppositori interni e esterni, anche a costo di dover rinviare di un anno la riforma. Un analogo ragionamento riguarda Roma e il destino di Marino: Renzi è convinto che a salvare Marino non basti la sua estraneità alla corruzione e che invece i cittadini romani non gli perdonino lo stato di abbandono della Capitale.
Le nuove elezioni per il Campidoglio, da celebrarsi insieme a quelle di Torino, Milano e Napoli, diventerebbero così il primo test nazionale di una gara a tappe - che prevede di arrivare alle elezioni politiche in anticipo di un solo anno, nel 2017, passando per il referendum confermativo delle riforme istituzionali nell’autunno 2016 -, e la prima occasione per il premier di capovolgere l’avaro risultato delle urne appena chiuse. Il timore che dopo un’inchiesta che ha visto coinvolte amministrazioni di destra e di sinistra, dal voto della Capitale possa uscire un sindaco grillino, non sfiora Renzi. Le riforme, il consolidamento della ripresa economica, oltre a un uso accorto e visibile dei fondi da stanziare per il Giubileo, sarebbero ragioni sufficienti per far ricredere i cittadini della Capitale; i quali tra l’altro, durante la gestione prefettizia che seguirebbe allo scioglimento del Comune, avrebbero la sensazione che a occuparsi di Roma è in realtà il governo e che Renzi ne è diventato una sorta di sindaco a interim. Va da sé che anche le due scadenze successive - il referendum e a stretto giro le elezioni politiche solo leggermente anticipate - Renzi le immagina come una sorta di plebiscito su di sé. E se non può essere sicuro di vincerle, pensa comunque di avere ancora molte frecce al suo arco.