La Stampa 18.6.15
Nella base dei primi droni marini: “Sono l’arma segreta di Israele”
Sviluppati per operare sotto costa e prevenire attacchi suicidi anche subacquei
di Maurizio Molinari
I gioielli tecnologici della Marina militare israeliana sono parcheggiati sul molo della base di Ashdod, fra le barche dei pescatori confiscate a Gaza e i gommoni delle truppe speciali. I due «Protector», lunghi 9 e 11 metri, hanno lo scafo che assomiglia ad un sommergibile in miniatura, una torretta senza finestre, l’arma «Mini-Typhoon» puntata verso il mare ed una miriade di sensori hi-tech celati fra antenne e radar. Uno dei due ha anche una parte del tutto sgonfiabile, come i gommoni. «I test sono quasi terminati, a breve saranno operativi come tutte le altre unità» spiega un ufficiale, secondo il quale «assomigliano molto ai droni dell’aviazione perché sono guidati a distanza da una stazione di controllo a terra, hanno un’autonomia di oltre 48 ore, possono operare in qualsiasi condizione atmosferica e ci aiutano ad affrontare ogni tipo di minacce».
La società israeliana «Rafael» li ha realizzati nel 2013 con l’intenzione di dotare le Marine militari di «navi senza marinai per operare sotto costa a fini di sicurezza e intelligence». I primi ad acquistarli per la sperimentazione sono stati Singapore e Messico, poi i «Protector» testati nell’Oceano Indiano nelle operazioni anti-pirateria a largo della Somalia e quindi «Tzahal» all’inizio di quest’anno è diventato il primo esercito a farli entrare a pieno titolo nei propri ranghi. È nato così lo squadrone agli ordini del comandante Liav Zilberman che spiega così l’effetto-Protector: «È un sistema d’arma molto avanzato che ci dà l’abilità di affrontare varie minacce, lo abbiamo con noi da diversi mesi e ci aiuta a proteggere le vite dei soldati, prevenendo perdite», soprattutto perché «è unico nel fornirci risposte creative ad ogni tipo di minacce, contribuendo in questa maniera ad aumentare le nostre capacità di sicurezza».
La versatilità
Il termine-chiave è «creatività» perché i droni del mare hanno la capacità di esaminare situazioni di rischio improvviso e fornire in tempo reale più scenari di possibile risposta, operando in sinergia con altre unità delle forze armate. Si tratta di una rivoluzione tecnologica che la Marina israeliana sta attraversando in queste settimane e porta Zilberman a prevedere che «presto avremo navi di altro tipo senza pilota che si aggiungeranno ai droni perché questo è il futuro scenario dell’arena marina».
Il campo d’azione
Fra gli ufficiali della base di Ashdod che hanno avuto maniera di conoscere i «Protector» c’è chi li definisce «utili ad operare sotto costa» al duplice fine di «proteggere città e spiagge dal rischio di infiltrazioni terroristiche provenienti dal mare» come anche di «operare se necessario in territorio nemico, in acque basse, a ridosso delle loro postazioni». Quanto avvenuto la scorsa estate a Gaza, quando durante il conflitto militare con Israele i commandos di Hamas tentarono di sbarcare sulla spiaggia del kibbutz di Zikim, ha portato la Marina a studiare contromisure più sofisticate: non solo i «Protector», ma anche un particolare radar sottomarino che consente di identificare chi nuota in mare ed anche sott’acqua. È operativo tanto sul confine con Gaza che su quello con il Libano perché le incursioni sottomarine di «commandos» nemici sono fra le minacce considerate più serie.
Per il contrammiraglio Dror Friedman, vice Capo di Stato Maggiore della Marina, ex capo delle unità speciali «Flotilla 13» e già comandante della base di Ashdod, l’entrata in servizio del «Protector» segna «l’inizio dell’inclusione nelle nostre forze di difesa costiera di unità senza pilota destinate a proteggere anche le piattaforme energetiche off shore nelle acque territoriali» grazie al «valore aggiunto di poter rimanere in mare per lunghi periodi di tempo, spingendosi fino a penetrare luoghi molto pericolosi».
Il pattugliamento
Ciò significa che saranno i droni di «Rafael» a vegliare sulle piattaforme di «Tamar» e «Leviathan» i grandi giacimenti di gas naturale al largo dello Stato ebraico. La maggior parte dei test svolti «servono a integrare le unità esistenti con i Protector - aggiunge Friedman - al fine di adoperarsi come gli altri sistemi d’arma a disposizione». Ma non è tutto: fra gli scenari più comuni dell’imminente impiego dei «Protector» c’è il controllo delle barche dei pescatori di Gaza: ogni notte sono dozzine ad avvicinarsi alle acque israeliane, ed a volte a superarle, obbligando le navi di pattuglia a ripetute missioni di controllo con una complessa procedura tesa ad identificare terroristi e trafficanti, proteggendosi dal rischio di barchini-kamikaze.