giovedì 18 giugno 2015

Corriere 18.6.15
Quei muri in Europa
Dalla palizzata di Calais al Brennero. Così il continente è ancora diviso
di Stefano Montefiori


PARIGI Quando all’inizio degli anni Novanta la Spagna cominciò a costruire della barriere con filo spinato attorno a Ceuta e Melilla, alte prima quattro poi sei metri, costo finale 30 milioni di euro, quella decisione sembrò una bizzarria della Storia, un anacronismo post-muro di Berlino giustificato dall’eccezionalità della situazione geografica: le due città, spagnole dal XV secolo, sorgono sulla costa mediterranea del Marocco, e costituiscono la sola frontiera terrestre dell’Europa in Africa.
Ogni tanto, nella madrepatria, qualche migliaio di spagnoli scendono in piazza per protestare contro le due barriere, lunghe quasi 10 chilometri ciascuna e munite sulla sommità di lame affilate che adempiono almeno in parte al loro scopo: non scoraggiano, ma tagliano esseri umani tanto disperati da arrampicarsi lo stesso. Manifestazioni per esempio nel 2005, quando 15 migranti arrivati dall’Africa subsahariana persero la vita nel tentativo di superare le fortificazioni. All’inizio nei cortei si gridava lo slogan «basta muri, più ponti», una frase che oggi fa quasi sorridere per la sua ingenuità. In Europa il clima politico e intellettuale prevalente consiglia fermezza, e disincanto, nei confronti dei migranti. Mai come in questi giorni in Francia viene ripetuta la storica frase pronunciata in tv il 3 dicembre 1989 dall’allora premier Michel Rocard: «Non possiamo accogliere tutta la miseria del mondo». I muri funzionano o quasi, via libera ai muri.
Il nuovo confine di Calais
Il muro vero in costruzione a Calais, per esempio. La Gran Bretagna ha concluso con la Francia un accordo per finanziare con 15 milioni di euro una palizzata che sta rendendo il porto inaccessibile ai migranti. Nel 2002 l’allora ministro dell’Interno Nicolas Sarkozy chiuse il centro di Sangatte come se si potesse cancellare l’immigrazione per decreto, ma i migranti somali, sudanesi, eritrei ovviamente non hanno mai smesso di arrivare a Calais per tentare di raggiungere con ogni mezzo la terra promessa, l’Inghilterra. Le barriere tengono lontani dalle navi i circa 3000 clandestini. Allora ieri, per esempio, dalla collina ormai nota come «New Jungle» hanno lanciato sacchi di rifiuti in mezzo alla strada per fare rallentare i camion, e permettere a circa 200 compagni di dare l’assalto ai rimorchi. «Scene apocalittiche», ha detto una fonte della polizia. Scene che potrebbero finire quando le fortificazioni saranno completate. Quello di Calais è l’unico muro all’interno dell’Unione europea, pensato per proteggere la Gran Bretagna (che non fa parte di Schengen) dai flussi migratori in arrivo dal resto dell’Ue. L’Inghilterra quindi ha spostato in avanti il suo confine, il più lontano possibile da Londra. Addirittura in Francia.
Barriere (forse) provvisorie
Poi ci sono i muri invisibili e provvisori, come quelli di Ventimiglia e del Brennero, avvisaglia di quello che ci aspetta — il ripristino delle frontiere all’interno dell’Europa — se i Paesi membri non trovano un’intesa. Nonostante i dinieghi, a Ventimiglia la Francia di fatto blocca il confine, non limitandosi a condurre controlli puntuali e a campione come prevede Schengen ma fermando gruppi interi di persone, sulla base dell’aspetto esteriore. Come ha detto a Mediapart Laurent Laubry, del sindacato di polizia Alliance, «generalmente le persone con la pelle bianca non vengono dall’Africa». La frontiera è tornata, sia pure selettiva.
I più colossali muri fisici sono quelli che cercano di difendere le frontiere esterne dell’Unione europea. Per esempio quello iniziato nel 2012 e ormai concluso, 12 chilometri di barriere e filo spinato tra la città greca Nea Vyssa e la turca Edirne. Il governo di Atene decise di seguire l’esempio di Ceuta e Melilla per fermare il gigantesco afflusso di migranti del Medio Oriente (soprattutto siriani e iracheni in fuga dalla guerra) che usavano il fiume Evros per provare a entrare in Europa. La Grecia ha speso tre milioni di euro per costruire il muro. La Ue non ha contribuito al finanziamento, ma Francia e Germania hanno sostenuto politicamente la scelta di Atene.
Chiudere dentro o tenere fuori
Ma la storia forse più incredibile è quella della Bulgaria: dopo avere finalmente buttato giù le barriere di epoca sovietica che servivano per tenere la gente chiusa dentro, il governo di Sofia è passato a costruirne un’altra, stavolta per tenere la gente chiusa fuori. Anche qui il confine da fortificare e rendere invalicabile è quello con la Turchia. Nel settembre scorso è stata completata la prima tratta di 32 chilometri, il progetto complessivo arriva a 160. Ma già così, nel 2014 solo quattromila persone sono riuscite a entrare illegalmente in Bulgaria; l’anno prima erano state 11 mila. Il nuovo muro annunciato ieri tra Ungheria e Serbia potrebbe quindi non essere l’ultimo della serie. A Melilla, dove tutto cominciò, l’artista italiano Blu ha dipinto una gigantesca bandiera europea: al posto delle 12 stelle, filo spinato.