lunedì 15 giugno 2015

La Stampa 15.6.15
Altro che “Liala”
La rivincita di Cassola
Torna in libreria l’autore dellaRagazza di Bube, bollato sprezzantemente dal Gruppo 63: e si scopre che non è invecchiato, a differenza dei suoi critici
di Paolo Di Paolo


Scrittore prolifico Carlo Cassola era nato a Roma nel 1917 ed è morto a Montecarlo di Lucca nel 1987.

L’intuizione critica più felice su Carlo Cassola l’ha avuta lui stesso. A proposito del suo romanzo Un cuore arido, parlò della possibilità di essere «fitzgeraldiani a Marina di Cecina». Perfetto: Anna, la protagonista di quel romanzo del ’61, la «spaventosa Anna» di cui parlava Calvino, non è a modo suo un po’ Zelda e un po’ la Daisy del Grande Gatsby? Più dimessa, certo, provinciale e infinitamente meno ricca: comunque, una ragazza dallo sguardo verde, indecifrabile e disinibita, che sa apparire dura e fredda. C’è l’estate di mezzo, c’è il mare. C’è il confine terribile fra quello che potremmo essere e quello che davvero siamo.
Mezzo secolo dopo
Un cuore arido torna negli Oscar Mondadori a mezzo secolo dalla prima comparsa di Cassola, con La ragazza di Bube, in quella grande collana; e sono tornati di recente, con nuove prefazioni e per la cura di Alba Andreini, altri titoli come Il cacciatore o L’uomo e il cane. Quando si riapre il discorso su questo scrittore, sembra inaggirabile il tono da riabilitazione postuma: sì, certo, gli araldi della neoavanguardia, soprattutto alla luce di Un cuore arido, lo definirono «la Liala del ’63», ma siamo sicuri che sia necessario partire da lì? Mentre di Giuliani, Sanguineti, Balestrini hanno perso smalto istanze e manifesti, Cassola non è invecchiato: è semmai antico - cosa molto diversa - come il suo piccolo mondo, tutto stretto fra Cecina e Volterra.
In Un cuore arido, come in Fausto e Anna, la forza di Cassola sta nel modo in cui utilizza una trama da romanzo sentimentale per mettere a fuoco qualcos’altro. E per disinnescare, infine, proprio il sentimentalismo.
Ciò che sembra interessare, più di tutto, a Cassola sono le ragazze. Il loro modo di pensare, di sentire, di muoversi - affacciate su quello spazio enigmatico fra adolescenza e prima giovinezza. È il loro «maturare» ad attrarlo: l’istante, o la somma di giorni, in cui perdono l’innocenza. In che modo? E perché accade? Così, se in romanzi coevi come La noia di Moravia o Un amore di Buzzati l’innocenza è già persa, in Un cuore arido sfuma e si perde davanti ai nostri occhi. Il risultato è un senso di sconforto e di allarme, il disagio di fronte a un cambiamento radicale. L’Anna di Fausto e Anna come l’Anna di Un cuore arido ragionano, riflettono, si fanno domande, ma non restano ferme, scelgono, anche risolutamente, di essere, di diventare sé stesse. Autonome, quindi, e - per occhi maschili - ancora più misteriose e sfuggenti.
Anna che si butta via
Un cuore arido è ambientato negli Anni Trenta, ma pochi sono i dettagli che lo ricordano, Cassola ha liquidato in fretta la stagione «impegnata»: dopo La ragazza di Bube vuole scommettere solo sull’immaginazione. Una ragazza che cammina sola su una spiaggia battuta dal libeccio gli basta per definire uno stato d’animo. Cassola pedina Anna, la osserva che si dà la cipria la domenica mattina, che prende un passaggio da Livio seduta sulla canna della bicicletta, aspetta che prenda le distanze dalle «ragazze leggere» e che poi, sulla bocca di tutti, diventi una di loro. La guarda innamorarsi dell’uomo sbagliato (è il fidanzato di sua sorella) e poi, delusa, diventare - indomita e ostinata - un’eroina antiromantica. Una che, se si butta via, non lo fa per fragilità (come la Ginia della Bella estate di Pavese), ma per partito preso, per principio, come seguendo una tecnica di resistenza al dolore.
Il Sublime della provincia
«Capisci, Mario? Non me ne importava più nulla della vita, mi pareva che non avesse più nessun valore... e allora, perché avrei dovuto aver cura della mia reputazione?» scrive Anna in una lettera alla fine del romanzo. È diventata davvero arida? Così presto? «Soddisfatta, quieta e saggia; non aveva desideri né rimpianti, e non temeva la solitudine» la descrive nelle ultime righe Cassola. E adesso può lasciarla lì, in un paesaggio toscano non sempre addolcito dall’estate, spesso duro, grigio, burrascoso, può lasciare che coincida con quel paesaggio.
Sì, certo - è quasi lei stessa a dirlo - lontano da Cecina morirebbe. Ma credo che ci sia di più. È che lo scrittore Cassola tratta Anna proprio come tratta il paesaggio, la fa esistere e troneggiare nel romanzo come il mare, la spiaggia, gli alberi, i campi. Dimostra così che l’arte dell’autentico narratore coincide con quella del ritrattista. «Che importava se l’avvenire non le prometteva nulla? Il passato, contava di più. E poi, nessuna vita era povera: nemmeno quella di Ada. Il sole! Il sole! Si levava ogni mattina, ogni mattina riscaldava le anime, col suo calore, con la sua luce. Ogni mattina tornava a svelare la infinita bellezza del mondo, quella bellezza che l’anima può contenere, ma che la vita quotidiana non può accogliere». Nel cuore degli anni Sessanta, Cassola riattiva una possibilità di Sublime come addomesticato, un antiromantico Sublime dell’eterna provincia italiana. Altro che Liala.