domenica 14 giugno 2015

La Stampa 14.6.15
Waterloo
Così la “vittoria” francese divenne una disfatta
18 giugno 1815: alle sei del pomeriggio erano sicuri del trionfo, Wellington ribaltò la situazione
di Marco Zatterin


Passate le sei del pomeriggio, dopo oltre quattro ore di combattimenti senza quartiere, il maggiore inglese George Baring ordina ai suoi hannoveriani della «Legione tedesca del Re» di ritirarsi dalla Haie Sainte, la fattoria che sinora ha protetto il cuore dell’esercito alleato dall’offensiva imperiale. I fanti francesi avanzano, esultanti. Il maresciallo Ney annuncia al generale Desales, comandante dell’artiglieria, «stasera verrete a cena da me a Bruxelles». Il nemico gli pare sul punto di cedere, così invoca i pretoriani della Vecchia Guardia, senza sapere che sono già impegnati a Sud-Est, nel villaggio di Plancenoit. Napoleone prova ad aiutarlo con una menzogna, fa dire che il fido Grouchy si è finalmente ricongiunto all’Armée. Invece Grouchy è lontano, così quelli che arrivano sono i prussiani di Blücher che proprio Grouchy per tutto il giorno ha inutilmente cercato di raggiungere. E sono troppi perché lo scontro possa continuare senza trasformarsi in una fatale sconfitta per l’Aquila imperiale.
200 mila in 16 km quadrati
Qui finisce «la Battaglia» e si chiudono i conti del 18 giugno 1815, una domenica. Svaniscono le ambizioni dell’esercito che per vent’anni ha dominato il continente con poche eccezioni, e quelli di Napoleone Bonaparte, autoincoronatosi imperatore dei francesi a Notre-Dame undici anni prima. Non s’era mai visto scontro altrettanto feroce, teste mozzate e macelleria equina, mai tanto sangue in così poco spazio, né sarebbe più accaduto. Duecentomila uomini si affrontarono in un rombo di quattro chilometri per quattro: i blu e bianchi francesi; i rossi britannici, i grigioblù olandesi, i verdi hannoveriani, i prussiani blu notte. Il fumo che distorceva la vista. Il sangue che mescolava i colori.
Non si è combattuto a Waterloo. Bisognerebbe chiamarla Battaglia di Mont-Saint-Jean o di Braine-l’Alleud, ma è ormai troppo tardi. Dopo essere ritornato dall’Elba il primo marzo, Napoleone aveva riconquistato il potere con una facilità che non avrebbe ritrovato nel gestirlo. Rimesso sul trono dagli alleati, Luigi XVIII era fuggito a Gand lasciando un esercito ridotto dall’abbandono della leva obbligatoria seguito alla restaurazione. La vera minaccia veniva però da fuori, dalla Settima coalizione formata per cancellare «il piccolo caporale» dalla Storia: i 96 mila anglo-olandesi del Duca di Wellington erano in Belgio con 124 mila prussiani; 200 mila austriaci marciavano verso l’Alsazia-Lorena e 150 mila russi erano attesi sul Reno nell’estate. L’imperatore aveva in tutto 125 mila uomini.
La mossa di Napoleone
Napoleone decise di agire di sorpresa, prima che il nemico si riunisse e diventasse insuperabile. Il 6 giugno mosse verso il Belgio da Metz e Lille. Nove giorni più tardi sbucò da Charleroi fra gli anglo-olandesi e i prussiani. Il 16 giugno, in un pomeriggio, mise in fuga i primi a Quatre-Bras, e sconfisse i secondi a Ligny. Cominciava bene, tuttavia fu il 17 giugno a essere determinante. Perché Wellington riuscì a riorganizzarsi senza danni sulla strada per Bruxelles e Blücher si ritirò a Est, verso Wavre invece che Namur, dove il generale Grouchy - che aveva informazioni sbagliate - corse inutilmente a cercarlo.
Il fattore pioggia
Durante la notte piovve in abbondanza. Al mattino, il sole tornato a splendere nel cielo del Brabante trovò gli alleati ben disposti sul crinale di Mont-Saint-Jean, una posizione che offriva un punto di vista formidabile. La battaglia non cominciò subito. I due eserciti attesero che il fango si asciugasse per facilitare il movimento dei cannoni. I primi colpi furono sparati dopo le 11, quando l’imperatore ordinò al generale Reille di prendere a ogni costo la fattoria di Hougoumont che copriva la destra alleata: nonostante la carneficina e le bombe incendiarie, lo «chateau» non cadde. I francesi persero tempo e uomini.
La seconda mossa dell’Aquila imperiale fu l’attacco al centro delle linee alleate coi fanti di d’Erlon, coperti da un fitto cannoneggiamento. Giunsero a sentire l’alito dei nemici. Un feroce contrattacco britannico e una carica della cavalleria pesante li costrinse a ripiegare disordinatamente.
L’errore fatale di Ney
Fu allora che il generale Ney, pensando alla tavolata bruxellese con Desales, spedì la cavalleria francese a caricare la compagine nemica che riteneva indebolita e mal disposta, errore che pagò caro davanti ai quadrati alleati. Nulla poterono i cavalieri corazzati della Guardia. E neanche la fanteria sopraggiunta verso le sei.
Un lampo di speranza s’accese con la caduta della fattoria Haie Sainte. Erano le sei e mezzo. «Datemi la notte o datemi Blücher!», invocò Wellington. Gli diedero i prussiani che, gabbato Grouchy, apparvero da Oriente e ingaggiarono i francesi fra le case di Plancenoit. Impegnate sui due fronti, le truppe imperiali preferirono la fuga alla morte. La Guardia imperiale indietreggiò e sparì nel fumo da cui era emersa. «Merde!», è la risposta (apocrifa) del Visconte di Cambronne a chi gli chiedeva la resa. Napoleone era sconfitto, Napoleone era già su una vela per Sant’Elena, Napoleone usciva da un’Europa che non sarebbe stata più la stessa. Sul campo oltre 40 mila fra morti, feriti e dispersi. Ma i numeri sono incerti.
Andò davvero così? «Lascia perdere Waterloo - intimò il Duca vincitore a un suo biografo -. Nessuno può ricostruire l’ordine o l’esatto momento in cui le cose accaddero». Sir John Colborne, che comandava il 52° di fanteria leggera, dichiarò che «solo gli ufficiali a cavallo» potevano dare un resoconto della battaglia. Difficile avere certezze e, anzi, chi va a Waterloo oggi può esser tentato di pensare che il trionfatore sia stato Napoleone, perché solo di lui si parla a Mont-Saint-Jean e dintorni. Questo non è certamente successo. Sicuro come che Ney non cenò a Bruxelles con Desales quella sera del 18 giugno di duecento anni fa.