La Stampa 14.6.15
Il tracollo di Bonaparte è cominciato a Trafalgar
di Ernesto Ferrero
Le sconfitte e le vittorie arrivano da lontano. Si può dire che Waterloo, a un soffio dall’essere vinta ai tempi supplementari, comincia con la disastrosa sconfitta navale di Trafalgar (1805), con la scriteriata invasione della Spagna (1808-09) e con la disfatta di Russia (1812). Un’identica hybris può colpire gli imperi e le aziende: la presunzione di una crescita illimitata attenua l’accuratezza della progettazione, il calcolo dei rischi, di costi e ricavi. Nella fretta di conquistare nuovi mercati, non c’è tempo di preparare un management all’altezza, e un centralismo ossessivo finisce col riportare al Líder Máximo ogni minima decisione. Un’ambizione diventata irragionevole forza la mano al giocatore talentuoso, lo spinge all’azzardo che finirà col perderlo.
Napoleone sottovaluta la suscettibilità e l’orgoglio nazionale dei popoli che vuol sottomettere, non potendo credere che al suo ottimo modello amministrativo gli spagnoli o i russi preferiscano quello piuttosto arretrato dei loro sovrani. In Russia l’invasione del suolo patrio crea un fortissimo sentimento identitario e patriottico, il Paese è costretto a crescere in fretta sotto l’urgenza della sfida mortale. E poi il know-how napoleonico ha smesso di essere una novità. I vinti di ieri hanno imparato la lezione, le battaglie sono diventate incerte, costose, mai veramente risolutive.
Abituato a giocare tutto sulla carta della grande battaglia vincente, Napoleone non capisce che anche sul mare, elemento che non conosce e non padroneggia, sarebbe stata migliore strategia, di fronte a un avversario soverchiante, condurre una lunga guerriglia di logoramento in grado di intralciare i traffici inglesi ben più del Blocco Continentale. Senza il dominio dei mari non era possibile vincere una guerra che era in primo luogo commerciale. Così la Grande Vittoria Finale rimane un sogno di gioventù. Il gioco è diventato troppo grande e troppo complesso persino per uno statista e manager di immense qualità. E poi, incredibilmente, l’uomo proiettato nel futuro trascura l’innovazione tecnologica: i fucili sono ancora quelli modello 1777, l’artiglieria non è aggiornata da trent’anni, l’invenzione del battello a vapore è giudicata inapplicabile. Per lui resta primario il fattore umano, ma dopo vent’anni di guerre anche l’Armée è diventata un patchwork multietnico, raccogliticcio e impreparato, in cui si parlano troppe lingue diverse. Forse Napoleone è stato il primo a pagare il prezzo della globalizzazione forzata che lui stesso aveva avviato.