Corriere 14.6.15
Due chiese verso l’unità. Gli scogli lungo la strada
risponde Sergio Romano
In occasione della visita di Putin in Vaticano viene riproposto l’annoso problema del riavvicinamento delle due Chiese, quella ortodossa di Mosca e quella di Roma, cui sia Putin che il Papa terrebbero molto. In un breve intervento su Rai 3, l’esperto di questioni moscovite Fabrizio Dragosei ha accennato che fra gli ostacoli che si frapporrebbero al detto riavvicinamento, quelli dottrinari non sarebbero forse i più rilevanti. Di non minore portata sarebbero diversi contenziosi di natura economica. Potrebbe trattarne brevemente?
Giorgio Coccagna
Caro Coccagna,
Qualche anno fa un nunzio apostolico mi disse che il problema maggiore, nei rapporti della Chiesa cattolica con l’Ortodossia, fu sempre quello del primato del vescovo di Roma, vale a dire della posizione che il Papa avrebbe avuto nell’ambito di una Chiesa riunificata. Ma aggiunse che vi erano state alcune proposte e che la questione sembrava essere meno spinosa di quanto fosse stata in passato. Credo, tuttavia, che esista un altro problema, forse più delicato.
La storia della Chiesa cattolica è stata alquanto diversa da quella della Ortodossia. Mentre il papato romano voleva essere universale e cercò di non legare mai la propria esistenza a un rapporto fiduciario ed esclusivo con gli Stati in cui esercitava il suo apostolato, le Chiese ortodosse si proclamarono autocefale, e ciascuna di esse divenne l’autorità religiosa di una particolare comunità territoriale. Il mondo ne ebbe una dimostrazione quando Pietro il Grande, imitando alcune caratteristiche della Chiesa Anglicana, soppresse il Patriarcato di Mosca e creò un Santo Sinodo composto di ecclesiastici nominati dallo zar (fra cui il Metropolita di Mosca). Alla testa del Sinodo vi sarebbe stato, in rappresentanza dell’imperatore, un laico con la carica di Procuratore superiore. La rivoluzione del 1917 abolì il Sinodo e permise il ritorno al Patriarcato, ma le autorità sovietiche imposero alla Chiesa, per più di due decenni, misure fortemente restrittive e la rinchiusero in una sorta di sostanziale clandestinità. La situazione accennò a cambiare nel 1941, quando Stalin capì che la Chiesa russa poteva assicurare allo Stato, durante la Grande guerra patriottica, una maggiore partecipazione popolare. Pagò il debito, dopo la fine del conflitto, permettendo alla Chiesa ortodossa d’impadronirsi dei beni degli uniati (i greco-cattolici) in quei territori dell’Ucraina occidentale che erano stati per molto tempo polacchi o austriaci.
Qualcosa del genere accadde anche dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Boris Eltsin cercò di lusingare Roma restituendo agli uniati i beni perduti cinquant’anni prima; ma fu largo di concessioni, anche economiche, al Patriarcato e alla Chiesa ortodossa. La Chiesa moscovita gliene fu grata ristabilendo con lo Stato russo un rapporto simile, per molti aspetti, a quello instaurato da Pietro il Grande. I nuovi esponenti dello Stato russo, spesso usciti dai ranghi del partito comunista, divennero quasi tutti ferventi ortodossi dando prova di zelo religioso nelle pubbliche funzioni. Le ricordo, caro Coccagna, che i solenni funerali di Eltsin, nell’aprile del 2007, ebbero luogo a Mosca nella Chiesa di Cristo Salvatore, l’enorme edificio sulle rive della Moscova che era stato costruito agli inizi del Novecento in memoria della vittoria su Napoleone e che Stalin aveva fatto distruggere negli anni Trenta con una spropositata dose di dinamite.
Fra Chiesa e Stato in Russia vi sono quindi rapporti di reciproca convenienza non troppo diversi da quelli che nell’Impero bizantino andavano sotto il nome di «sinfonia». La Chiesa benedice lo Stato ogniqualvolta il regime ne ha bisogno, e lo Stato asseconda volentieri la Chiesa quando le permette di esercitare una sorta di monopolio religioso e di vigilare affinché la Russia non ceda ai costumi «immorali» diffusi ormai nel peccaminoso Occidente. Se il dialogo fra il Patriarcato di Mosca e la Santa Sede romana continuerà, sarà interessante scoprire quali siano i punti su cui le due Chiese possono accordarsi e quelli su cui continueranno a dissentire.