giovedì 4 giugno 2015

Il Sole 4.6.15
Verso la direzione. Ma al momento non sono in vista né cambiamenti allo statuto, né ai regolamenti parlamentari
La linea di Renzi: chi non vota la fiducia è fuori dal Pd
di Emilia Patta


«C’è ancora molto da fare, specie su fisco, Pa e giustizia civile. Ma andiamo avanti ancora più decisi, a viso aperto». Matteo Renzi, mentre nel suo Pd continua ad andare in scena la guerra tra minoranza bersanian-cuperliana e maggioranza renziana dopo i risultati non esaltanti delle regionali di domenica scorsa, trova conforto negli ultimi dati dell’Istat sull’aumento delle assunzioni (361mila in più rispetto ad aprile 2014, si veda pagina 5) per ribadire che la linea del governo non cambia, che le riforme messe in campo sono la ricetta giusta. «In politica c’è chi urla e spera che tutto vada male – scrive il premier e segretario del Pd su Facebook in una giornata riservata per il resto al lavoro a Palazzo Chigi -. E c’è chi quotidianamente prova a cambiare le cose, centimetro dopo centimetro, senza arrendersi alle difficoltà. Avanti tutta, è #lavoltabuona».
I destinatari del messaggio, va da sé, sono i compagni della minoranza dem sul piede di guerra per chiedere a Renzi un cambio di rotta, a cominciare dal Ddl scuola e dalla riforma del Senato e del Titolo V presto all’esame di un’Aula di Palazzo Madama in cui i numeri della maggioranza sembrano  farsi sempre più esigui. E i 24 bersaniani sempre più decisivi. Ma il premier, al di là di qualche aggiustamento a cui stanno lavorando i senatori dem guidati da Luigi Zanda, non ha alcuna intenzione di snaturare le due riforme a cui più lega il successo del suo governo: il superamento del bicameralismo perfetto dopo una discussione ventennale e una scuola che valorizzi il merito. E allora la direzione di lunedì si annuncia davvero come una resa dei conti politica. Non saranno proposte al momento modifiche statutarie o dei regolamenti parlamentari perché, come anticipato ieri dal Sole 24 Ore, le regole ci sono già: sono quelle volute da Pier Luigi Bersani nel 2013, sottoscritte da tutti i parlamentari del Pd e da quelli di Sel allora alleati, che esigono il rispetto delle decisioni prese a maggioranza dai gruppi parlamentari; e sono le stesse volute dall’allora capogruppo Roberto Speranza alla Camera (analoghe regole ci sono anche nel regolamento approvato dai senatori del Pd). «Le regole ci sono già, il tema è che finora non le abbiamo volute applicare. Ora le faremo rispettare. Ad esempio chi non vota la fiducia non può stare nel partito». Chi non vota la fiducia non può stare nel partito: una regola non scritta perché talmente implicita che non è stato finora necessario scriverla. «Però se fosse necessario espicitarlo meglio si farà».
Questo il clima. Mentre sullo sfondo resta il complicatissimo caso De Luca, il neogovernatore della Campania su cui pende la sospensione in virtù della legge Severino. Secondo quanto ribadito ieri dal sottosegretario Ivan Scalfarotto, De Luca si insedierà e poi verrà sospeso in base alla legge Severino. Ma quanto tempo dovrà attendere il pronunciamento della magistratura ordinaria? La regione sarà governata nel frattempo da una giunta acefala? Interrogativi pesanti e al momento senza risposta che inducono i 5 Stelle a chiedere di tornare quanto prima alle urne. Come osserva l’alleato Alfano, in modo politicamente non disinteressato, «mai vista tanta ferocia in un partito: sono finiti a denunce e in teoria se la presidente dell’Antimafia fosse condannata, dovrebbe essere arrestata». Non solo: ieri la denuncia di De Luca contro la presidente dell’Antimafia Rosy Bindi è stata passata per competenza alla Procura di Roma. Con un rischio paradossale: Bindi potrebbe appellarsi all’insindacabilità prevista dall’articolo 68 della Costituzione, e il giudice potrebbe a sua volta passare tutto alla Consulta per conflitto di attribuzione.