giovedì 4 giugno 2015

Il Sole 4.6.15
Il Governo e il dilemma della direzione Pd
di Lina Palmerini


Ma Renzi li asfalterà o cercherà la tregua? E la minoranza vorrà un accordo o il logoramento del premier? Anche in vista di questa direzione Pd le domande sono le stesse perché, finora, una scelta non c'è stata. Non c'è stata la pace né l'arma letale: i dissidenti hanno votato contro il Governo e il premier non li ha mai asfaltati. E ora?
Ora la vaghezza non regge più. Anche se ieri i vertici del Pd mostravano indifferenza verso i piccoli movimenti dei Popolari - due sono passati all’opposizione - e verso le ambizioni guerriere del neonato gruppo dei fittiani, un punto fermo nel Pd va trovato. E non solo perché i numeri al Senato ballano ma perché non può, ancora una volta, entrare in azione il fuoco amico. Insomma non si può vedere lo stesso film che si è visto ogni volta che governava il centro-sinistra: cioè che a sabotare la maggioranza è la maggioranza stessa. Lo stesso tormentone da vent’anni. Difficile indagare le ragioni dell’astensionismo ma una motivazione l’ha data il professor Corbetta dell’Istituto Cattaneo: il disorientamento di chi vota Pd di fronte alle divisioni nazionali e le fazioni locali. Un disorientamento che ha tenuto lontano dalle urne e che ha portato a un vero cambio di schema degli elettori di sinistra finora molto fedeli agli appuntamenti elettorali.
E dunque, per quanti sforzi abbia fatto i premier di raccontare una storia diversa, viene servita invece la stessa minestra di numeri in bilico al Senato e primi scenari di ribaltoni. E alla fine il messaggio non è quello preferito da Renzi - «Vado avanti, non mi fermano» – né il refrain della minoranza su cos’è più di sinistra ma torna invece la solita sensazione di ingovernabilità.
Ecco, allora, che le domande che la direzione del Pd di lunedì deve sciogliere diventano essenziali. E soprattutto si devono ridurre a una: governare o non governare? Una domanda che riguarda Renzi tanto quanto la minoranza. E dunque il cambio di registro deve essere reciproco. Fare fuori chi vuole asfaltare e chi vuole logorare.
Senza un punto fermo nelle regole di comportamento politico, sottoscritte da tutti, il rischio è che per l’ennesima volta il centro-sinistra si dimostri inadeguato al Governo. Un partito più di opposizione, insomma, visto che ogni volta che governa dura al massimo due anni. Queste sono le fasi del centro-sinistra: primo Governo Prodi dal ’96 al ’98, poi D’Alema fino al 2000, poi di nuovo Prodi 2006-2008. E adesso scatta il nuovo gong del biennio: 2013-2015. Ci siamo. E la responsabilità, di nuovo, è tutta dentro il partito di maggioranza relativa perché non è certo la scelta “single” di Mario Mauro che può turbare i sonni del Governo. Né i tentativi di farsi notare di Fitto. La responsabilità sta tutta dentro il Pd, minoranza e maggioranza. E questa volta non c’è nemmeno più la scusa di un Renzi che fa patti con Berlusconi o del salvataggio azzurro al Senato.
Dopo le regionali e dopo lo strappo con il Cavaliere non ci sono più alibi. È solo nel Pd che va trovata la responsabilità di mandare avanti l’Esecutivo tra l’altro in una fase che vede appena adesso primi segnali di risveglio economico. Ieri i dati Istat sull’occupazione in aumento sono stati esibiti dal premier come se fosse solo opera sua. Ma a votare il Jobs act c’è stata pure quella parte di minoranza responsabile che ha voluto tenere il filo della mediazione fino all’ultimo. E che non era nelle piazze della Cgil a contestare il Governo e la riforma dell’articolo 18.
«Causare la fine della legislatura ora, con l’operazione della Bce in corso e soprattutto i primi dati di ripresa economica e occupazionale è da pazzi. Ma il premier deve cambiare linguaggio e cercare un dialogo nuovo», diceva ieri Cesare Damiano interpretando quella risposta all’unica domanda che deve porsi la Direzione Pd di lunedì. Governare o non governare?