giovedì 25 giugno 2015

Il Sole 25.6.15
Ritorna lo spettro del preside «burocrate»
di Eugenio Bruno


Nelle linee guida di settembre veniva definito un manager. Sei mesi dopo, al momento dell’approvazione del ddl Renzi-Giannini, era già diventato un sindaco. Adesso, alla vigilia del voto di fiducia del Senato, rischia di restare il passacarte che è oggi o al massimo di trasformarsi in un burocrate. Guardare all’evoluzione che il dirigente scolastico ha subito in questi nove mesi di dibattito - prima virtuale, poi reale e infine parlamentare - sull’istruzione può aiutare a capire quanto il clima di “trattativa permanente” delle ultime settimane abbia attutito le intenzioni riformatrici della “Buona scuola”.
In questo senso la parabola vissuta dalla figura del preside è emblematica. Se non altro perché è al suo rafforzamento che il disegno originario del governo affidava le speranze di tramutare finalmente in realtà quel principio di autonomia scolastica che sulla carta esiste da 18 anni. Nelle intenzioni dell’esecutivo, la trasformazione della scuola in un’entità autonoma passava infatti dal potenziamento e dalla sburocratizzazione del capo d’istituto. Da realizzare in tre mosse: affidandogli l’elaborazione del piano dell’offerta formativa (il Pof), consentendogli di scegliere i prof da premiare con una quota di retribuzione legata ai risultati e introducendo la chiamata diretta di una parte del corpo docente.
È da qui che bisogna partire per valutare i punti di caduta della riforma. Ebbene, i primi due strumenti di rafforzamento del dirigente scolastico erano già stati ridimensionati durante il precedente passaggio alla Camera. Da un lato, affiancandogli il collegio docenti e il consiglio d’istituto nel varo del Pof; dall’altro, affidando a un comitato di valutazione misto docenti-genitori (che alle superiori aprirà le porte studenti) il compito di fissare i criteri per l’attribuzione dei premi al merito. A completare il dietrofront sui suoi poteri ci sta invece pensando in queste ore il Senato.
Il maxi-emendamento su cui oggi l’assemblea di Palazzo Madama voterà la fiducia introduce infatti ulteriori paletti alla “chiamata diretta” dei docenti. In primis perchè ridimensiona la facoltà del preside di scegliere un insegnante del futuro organico dell’autonomia andando oltre le classi di concorso. Potrà farlo infatti solo se i futuri ambiti territoriali non conterranno alcun prof in possesso di quella specifica abilitazione. Come se non bastasse, nel ricordare che il dirigente avrà la gestione delle risorse umane, materiali e finanziarie del suo istituto il nuovo testo precisa che dovrà rispettare «le competenze degli organi collegiali».
Torna dunque il concetto di collegialità che non sempre fa rima con responsabilità. Che in fondo si è avuto paura di responsabilizzare i capi d’Istituto lo dimostrano anche le sorti del comitato di valutazione. A scegliere gli insegnanti meritevoli sarà sì il preside ma sulla base dei criteri di un “board” composto da 7 membri, di cui almeno tre provenienti dal corpo docente. Se non quattro visto che anche il membro esterno sarà a sua volta un professore. Con buona pace del principio minimo di buon senso che dovrebbe tenere distinti “valutati” e “valutatori”.