lunedì 22 giugno 2015

Il Sole 22.6.15
Salvataggio o Grexit? Ultima chiamata per Atene
di Adriana Cerretelli


Verrebbe voglia di scommettere tutto sull’ottimismo della volontà e la logica del buon senso, che in questo caso coincide con un esercizio di puro realismo. Scaricare la Grecia oggi costerebbe ai suoi creditori molto di più del suo terzo salvataggio: farebbe saltare non solo la finzione di un recupero molto lontano nel tempo dei prestiti che le sono stati concessi ma farebbe anche crollare l’integrità dell’euro e il principio della sua irreversibilità.
Per tentare di evitarlo oggi si terrà a Bruxelles l’ennesima riunione dei ministri finanziari dell’Eurogruppo. E in serata il vertice straordinario dei leader dell’eurozona, un vertice di vera emergenza .
Ma quali sono le reali intenzioni del debitore in piena crisi umanitaria, con l’economia ferma, senza più soldi in cassa e con un bisogno ormai disperato degli aiuti Ue per evitare il default? La risposta dovrebbe essere scontata. Invece non lo è affatto, dopo 5 mesi di negoziati in bilico tra le provocazioni e la resistenza attiva alle richieste dei partner. Tanto che è legittimo interrogarsi sugli obiettivi ultimi del premier Alexis Tsipras, se punti davvero all’accordo o non insegua invece la rottura delle catene europee, rovesciandone però la responsabilità sui partner inflessibili.
L’opinione pubblica greca resta profondamente ostile all’austerità, ne ha ingurgitata troppa, ma è altrettanto profondamente convinta dei benefici della scelta europea. Tsipras è un negoziatore spregiudicato: sa perfettamente che Grexit infliggerebbe all’euro e all’Europa un vulnus potenzialmente letale. Quindi non esita a tirare al massimo la corda, convinto che i suoi coriacei interlocutori alla fine saranno costretti a cedere per evitare il peggio. Per questo si diletta a flirtare in parallelo con la Russia di Vladimir Putin, conscio dell’importanza per l’Occidente della posizione strategica del suo paese, che proprio per questo è un boccone molto ambito a Mosca.
A furia di tirarla, però, la corda si potrebbe spezzare. Non a caso giovedì la riunione fallita dell’Eurogruppo a Lussemburgo ha visto crescere di prepotenza al proprio interno il partito di Grexit, insieme alla frustrazione generale sull’esito di un negoziato finora quasi del tutto inutile.
Eurogruppo, Bce e Fmi continuano a dirsi flessibili sulle misure di aggiustamento fiscale e le riforme purchè credibili, effettive ed equivalenti dal punto di vista dei risultati a quelle originariamente concordate quando fu concesso il programma di assistenza alla Grecia. Atene finora non ha scoperto le carte pur continuando a pretendere, contestualmente all’accordo per lo sblocco dei 7,2 miliardi di aiuti residui da incassare, un’intesa per la ristrutturazione del suo debito (177% del Pil), ritenuto insostenibile. Se ci fosse una sincera volontà politica di chiudere da entrambe le parti, l’accordo sarebbe tutt’altro che impossibile. La sensazione è che invece la partita sia inquinata da troppe carte coperte e secondi fini.
I partiti nazionalisti, anti-euro, euroscettici e anti-sistema sono in crescita dovunque nell’Unione e minacciano la stabilità di molti Governi. Che certo non sono disposti a fare regali alla sinistra estrema di Tsipras per favorire i propri nemici in casa. Il braccio di ferro in corso non ha solo una valenza economico-finanziaria, dunque, ma anche e soprattutto politica.
Per questo la strada dell’accordo appare tortuosa e piena di insidie. Per questo il tavolo potrebbe anche saltare. Tra 8 giorni scadranno il programma di aiuti europei e la rata da 1,6 miliardi dovuta al Fmi. «Ormai per tutti la scelta è fra la peste e il colera», riassume un diplomatico europeo. Allora meglio un cattivo accordo che niente accordo. Finirà così?