lunedì 22 giugno 2015

Corriere 22.6.15
Il banchiere contro Berlino e Atene «Nessuno ha negoziato in buona fede»
di Federico Fubini


Athanasios Orphanides, a 53 anni, è una delle figure più incisive emerse nella lunga crisi dell’euro. Docente di Economia monetaria al Massachusetts Institute of Technology, fino al 2013 componente del consiglio direttivo della Banca centrale europea come governatore di Cipro, prima ancora senior advisor del consiglio dei governatori della Federal Reserve americana, Orphanides non coltiva l’arte della diplomazia. Preferisce dire ciò che pensa anche quando sa di essere abrasivo per tutti: «Germania e Grecia non hanno negoziato in buona fede», osserva.
Cosa intende dire?
«Il dramma in Grecia è il sintomo di un problema più ampio in Europa. La sua essenza è una mancanza di responsabilità democratica, di obbligo di ciascuno di rispondere dei propri atti. Negli ultimi cinque anni si è creato un problema in Grecia per il quale i greci, i tedeschi e gli altri governi hanno una responsabilità congiunta, ma ciascuno di loro cerca di scaricarla sugli altri. Negli ultimi mesi né il governo tedesco né quello greco hanno negoziato in buona fede, perché nessuno dei due si è assunto la sua parte di colpa per questo stallo».
Può essere più preciso sugli errori di Atene e Berlino?
«In Grecia oggi una grossa parte del problema è frutto delle promesse irrealistiche fatte dal nuovo governo per farsi eleggere. Un anno fa quel Paese aveva un governo diverso che aveva riportato la crescita e ridotto il deficit. Purtroppo Berlino non stava negoziando in buona fede neanche allora. E l’impasse che si è prodotta ha portato al cambio al potere a Atene».
Sostiene che i negoziatori di Berlino non hanno mai cercato una soluzione?
«Il problema è iniziato con le irresponsabili politiche populiste dei governi greci che, arrivati al 2010, avevano accumulato un debito eccessivo. A quel punto un programma di aggiustamento del Fondo monetario internazionale era inevitabile. Purtroppo per la Grecia, in Europa si decise di non permettere al Fmi di aiutare da solo come accade per i Paesi che non sono nell’euro: i governi e gli organismi dell’area sono entrati in gioco, con la Germania in un ruolo di leadership. Su insistenza del governo Merkel, ad Atene è stato fatto adottare un programma disegnato principalmente per proteggere gli interessi delle banche tedesche, e di altri Paesi, esposte in Grecia. Non per aiutare la Grecia stessa».
La sua è un’accusa pesante, è certo di poterla dimostrare?
«Non lo sostengo solo io. Lo ha espresso meglio di me Karl Otto Pohl, l’ex presidente della Bundesbank: ha detto che il programma tedesco serviva a proteggere le banche tedesche e soprattutto quelle francesi dalle perdite sui loro investimenti sulla Grecia. Questo è il peccato originale della crisi. Quel piano è stato un enorme successo personale e politico per la cancelliera perché ha protetto le banche tedesche. Ma ha anche portato al collasso della Grecia che abbiamo osservato negli ultimi cinque anni. Nascondendo al pubblico tedesco la vera ragione di quel collasso, la narrazione di questa vicenda promossa da Angela Merkel ha creato quella sfiducia che vediamo oggi fra i tedeschi e che rende più difficile per il governo di Berlino far fronte alle sue responsabilità».
Se tutto in Grecia andasse per il peggio, lei vede rischi di contagio sull’Italia e le altre economie deboli?
«I rischi di contagio sono minori rispetto al 2011 o al 2012, ma sarebbe ingenuo pensare che siano contenuti. Per quanto mi riguarda, sono molto preoccupato per l’Italia semplicemente perché il debito pubblico è così eccezionalmente alto, persino più che in fasi precedenti della crisi. Anche un piccolo aumento nei costi di finanziamento del debito può bastare a spostare l’equilibrio con conseguenze imprevedibili».
Lei dice spesso che nella sua forma attuale l’euro è una minaccia per l’Europa. Cosa intende?
«L’esperienza degli ultimi cinque anni suggerisce che l’euro è stato sfruttato da alcuni Paesi a spese di altri e a spese del bene comune europeo. I principi democratici non sono stati rispettati. I principi di eguaglianza e solidarietà, essenziali nei Trattati dell’Unione, sono stati violati con impunità» .