sabato 20 giugno 2015

Il Sole 20.6.15
Vietato annacquare la riforma
di Claudio Tucci


Una vera autonomia scolastica richiede, in primo luogo, assunzione di responsabilità per le scelte che si compiono. Poi, un modello organizzativo reale e quindi un sistema di valutazione di tutte le componenti, insegnanti inclusi. È, allora, giusto che il governo provi ad accelerare sul Ddl Renzi-Giannini. Ma attenzione. Il provvedimento oggi all’esame in Senato è già molto distante dall’originario disegno innovativo. E alla scuola serve una riforma radicale.
La riforma dell’istruzione è ora impantanata al Senato tra polemiche e veti incrociati. In questo senso, è condivisibile il messaggio che il premier, Matteo Renzi, ha ripetuto ieri ai suoi collaboratori, di voler chiudere. Ma di cosa ha bisogno la scuola italiana? Di tante cose, tuttavia non di un pannicello caldo, frutto delle mediazioni politico-sindacali. Fare tanto per fare non serve; non guarda ai bisogni degli studenti; e non tiene conto anche dei numerosi solleciti degli operatori, e della stessa Europa, che non si accontenterebbero di un intervento di corto respiro.
In quest’ottica, è positivo che nelle trattative di queste ore non si sia rinunciato all’embrionale progetto di introdurre un po’ di merito. La valutazione degli insegnanti resta, anche se si farà, probabilmente in un primo periodo, in via sperimentale, in vista di linee guida nazionali che dovrà diramare successivamente il Miur. Parliamo chiaro, siamo molto distanti dall’idea originaria di voler costruire una vera e propria carriera per i professori, mandando in soffitta gli scatti di stipendio legati alla sola anzianità (un unicum in tutta la Pa “contrattualizzata” - siamo tra i pochissimi paesi al mondo che non giudica l’operato dei propri docenti, e conseguentemente non differenzia le loro retribuzione). Pazienza. La via sembra essere stata tracciata, e ripensamenti su questo punto non ce ne devono più essere. E così non può che lasciare perplessi il nuovo cambio di composizione del comitato di valutazione, che vedrebbe il dirigente scolastico affiancato da tre docenti e gli studenti e genitori confinati a un ruolo meramente consultivo grazie a un semplice questionario da compilare a fine anno. In questo modo, si rischia di far coincidere valutati e valutatori e tagliare fuori pressoché del tutto il giudizio degli utenti finali del sistema scuola: i ragazzi e le loro famiglie.
Appare condivisibile la rinuncia all’idea di mettere “tetti” alle durate degli incarichi dirigenziali (non è questo il modo per contrastare abusi ed eventuali rendite di posizione dei presidi). E sui criteri di valutazione dell’operato dei dirigenti, anche se fissati per legge, non ci devono però essere, nella fase applicativa, approcci formalistici e burocratici.
Su un punto poi si rischia una clamorosa retromarcia. È sui precari. La necessità di dover rincorrere consensi (anche a livello sindacale) in vista del possibile voto di fiducia sul Ddl sta facendo pensare il governo a introdurre un canale preferenziale di stabilizzazione anche dei vari “supplenti” che non rientrano nel maxi-piano di assunzione svuota «Gae». La strada delle selezioni “riservate” è un cattivo retaggio della politica degli anni passati. Togliere dal concorso posti disponibili è un danno che si fa ai giovani e ai tanti che vorrebbero oggi entrare nella scuola. A prescindere da ogni valutazione del merito (che evidentemente in questo modo non ci sarebbe).