martedì 2 giugno 2015

Il Sole 2.6.15
La via stretta del premier tra stallo e apertura alla minoranza Pd
di Emilia Patta


Cinque regioni vinte contro le due del centrodestra. Il dato è inoppugnabile, e di questo dato si conforta l’analisi di Matteo Renzi dei vertici dem. Eppure è altrettanto inoppugnabile l’emorragia di voti, emorragia che accomuna il Pd al M5S e a Fi (solo la Lega aumenta in termini assoluti), così come inoppugnabile è la perdita di una regione “rossa” come la Liguria.?E proprio il «laboratorio ligure», come lo chiama l’ormai fuoriuscito dal Pd Sergio?Cofferati, manda a Renzi segnali importanti sia sul fronte del governo sia sul fronte del partito. Intanto il 9,5% raccolto dal candidato della sinistra anti-Pd Luca Pastorino è lì a ricordare che se una parte della minoranza del Pd deciderà di scindersi e presentarsi alle prossime elezioni politiche con una formazione nuova assieme a Sel e alla “coalizione sociale” di Maurizio Landini potrà fare molto male al partito di Renzi. Ma per il momento nessuno dei big della vecchia guardia sembra intenzionato a lasciare il Pd: né Bersani, né Cuperlo, né tantomeno i giovani bersaniani come Speranza o Stumpo. L’azione della minoranza è piuttosto concentrata sugli appuntamenti parlamentari delle prossime settimane. E in Senato i 24 dissidenti dem che non votarono la riforma costituzionale sono sempre lì, determinanti. La strada di Renzi appare dunque molto stretta: senza concedere nulla alla minoranza rischia il blocco, concedendo troppo rischia l’annacquamento delle sue riforme. La prima urgenza di Renzi è dunque quella di ricucire con la minoranza del suo partito, almeno con la parte più dialogante e anagraficamente più giovane. La seconda urgenza è il partito: non è un caso che le candidate a lui vicine, la Paita in Liguria e la Moretti in Veneto, hanno perso mentre le vittorie sono da scrivere a candidati della vecchia guardia (Toscana,?Marche e Umbria) o a personalità indipendenti e lungamente radicate sul territorio (Campania e Puglia). Non c’è dubbio che Renzi e i vertici del Nazareno abbiano sottovalutato questo test elettorale, e il premier e segretario del Pd non ha saputo portare sul territorio il rinnovamento di cui si era fatto paladino vincendo primarie ed europee. È arrivato il tempo di porre mano al partito anche a livello territoriale, investendo su una nuova classe dirigente che sia competitiva. Il vecchio modello delle sezioni, degli iscritti, delle scuole di formazione e dei giornali di partito si è consumato ma il nuovo modello ancora non c’è.