giovedì 18 giugno 2015

Il Sole 18.6.15
Legislazione vigente. Fondi per turn-over e piano Carrozza
Se non arriva l’intesa assunzione comunque per 30mila precari
di Eugenio Bruno, Claudio Tucci


ROMA Governo e maggioranza continuano a prendere tempo sulla riforma della scuola; e se non arriverà un accordo (e un rapido via libera parlamentare) a settembre le assunzioni di insegnanti precari potrebbero essere non più di 30mila.
Questo perchè, a legislazione vigente, il Miur è autorizzato a coprire i posti che si libereranno per il turn-over, a cui si aggiungerebbe la terza e ultima tranche di stabilizzazioni di insegnanti di sostegno prevista dal decreto Carrozza (e lì già finanziata). Stiamo parlando, secondo la relazione tecnica allegata al Ddl Scuola, rispettivamente, di 18.536 posti liberi a seguito delle cessazioni dal servizio e di 8.895 assunzioni sui nuovi posti di sostegno autorizzati dal Dl 104 del 2013.
Per queste immissioni in ruolo non è necessaria l’approvazione del Ddl, potendo il ministero dell’Istruzione agire per via amministrativa (come fatto negli ultimi anni).
L’eventuale affossamento della riforma Renzi-Giannini lascerebbe a casa, a settembre, sicuramente i 48.812 docenti in più dell’organico dell’autonomia. Per loro, però, potrebbe aprirsi uno spiraglio “tecnico”. Se il Ddl verrà approvato, anche a luglio, si potrebbe ipotizzare un’assunzione in due tempi. Secondo uno scenario che potrebbe prevedere una nomina solo giuridica da fare al più presto, e una decorrenza “economica” che scatterebbe a settembre 2016. Questa strada è stata già percorsa in passato, quando gli Uffici scolastici regionali non riuscivano a immettere in ruolo entro il 31 agosto il contingente autorizzato dal Governo. La nomina giuridica garantirebbe la stabilizzazione, che, dal punto di vista dello stipendio, scatterebbe solo l’anno successivo.
Rispetto alle 100.701 assunzioni previste dal Ddl resterebbero in un limbo i 16.835 posti già vacanti e disponibili e i 7.623 posti già coperti da supplenti con spezzoni di orari. Per loro, le chanche di assunzioni sono appese alla sorte del Ddl.
Questa è la partita che si sta giocando tra minoranza dem e opposizioni (che vorrebbero un decreto-legge solo sulle stabilizzazioni) e maggioranza renziana che invece, anche ieri, per bocca della relatrice, Francesca Puglisi (Pd) ritiene inammissibile lo stralcio: «Il Ddl è una riforma complessiva, e deve andare avanti tutta insieme».
Anche, e soprattutto, per evitare mediazioni al ribasso: come è successo al merito che si è visto riconoscere solo 200 milioni e al ruolo del preside. Ma partiamo dal preside. Se non altro perché è al suo rafforzamento che il disegno originario del tandem Matteo Renzi-Stefania Giannini affidava le speranze di tramutare finalmente in realtà quel principio di autonomia scolastica che sulla carta esiste da 18 anni.
Nelle intenzioni dell’esecutivo, la trasformazione della scuola in un’istituzione autonoma passava infatti dal potenziamento e dalla sburocratizzazione del dirigente scolastico. Al quale venivano affidati tre compiti fondamentali: l’elaborazione del piano dell'offerta formativa (il Pof), la chiamata diretta di una parte del corpo docente e la scelta dei prof da premiare con una quota di retribuzione legata ai risultati. Tre ambiti che già il passaggio alla Camera ha provveduto a ridimensionare. Da un lato, affiancandogli il collegio docenti e il consiglio d’istituto nel varo del Pof e, dall’altro, affidando al comitato di valutazione misto docenti-genitori (o studenti) il compito di fissare i criteri per l’attribuzione dei premi al merito. Come se non bastasse le ulteriori modifiche che il Senato starebbe mettendo a punto per andare incontro alle richieste di minoranza Pd e sindacati rischierebbero di ridimensionare ancora di più la portata innovativa della riforma. Ad esempio, prevedere come la maggioranza sembra voler fare che il dirigente scolastico debba cambiare scuola dopo sei anni, stabilendo che il suo incarico triennale sia rinnovabile una sola volta, renderebbe ancora più debole il suo ruolo all’interno dell’istituto.
Stesso discorso per il comitato di valutazione che vedrebbe il preside affiancato da tre docenti e gli studenti e genitori confinati a un ruolo meramente consultivo. Cosi facendo si rischierebbe però di far coincidere valutati e valutatori e tagliare fuori pressoché del tutto il giudizio degli utenti finali del sistema scuola: i ragazzi e le loro famiglie.