mercoledì 17 giugno 2015

Il Sole 17.6.15
Bank of China entra nel tempio londinese del «fixing» dell’oro
L’istituto cinese parteciperà all’Lbma Gold Price
Pechino punta più in alto: presto un benchmark in yuan
di Sissi Bellomo


Il santuario londinese degli scambi di oro apre le porte alla Cina. Nel circolo ristretto delle banche incaricate di determinare l’Lbma Gold Price - la nuova versione del fixing - è stata ammessa anche Bank of China (Boc), che diventa così il primo istituto di un Paese emergente a partecipare alla formazione del benchmark in quasi un secolo di storia.
Il debutto inorgoglisce Yu Sun, alla guida della filiale britannica di Boc. «Bank of China è entrata nella London Bullion Market Association come membro iniziale nel 1987 e per oltre quarant’anni ha partecipato attivamente agli scambi di oro a Londra - ha ricordato il manager - . Ma la Cina non ha mai avuto un ruolo rilevante nel fixing, nonostante sia il maggior produttore e consumatore di oro del mondo».
Il fixing non è più il rituale di un tempo, quando un piccolo gruppo di banchieri si riuniva due volte al giorno tra le pareti di legno di un ufficio della N.M. Rothschild & Sons, alzando bandierine britanniche per approvare quello che ritenevano fosse il “giusto prezzo” dell’oro. Dieci anni fa le discussioni erano già migrate sulla linea telefonica. E dallo scorso marzo, travolto dai sospetti di manipolazione, il fixing è diventato il frutto di contrattazioni reali, su una piattaforma elettronica gestita da Ice Benchmark Aministration (Iba) e strettamente vigilata dall’autorità di mercato britannica, la Fca.
Il meccanismo resta comunque tuttora in mano a pochi istituti: otto soltanto, compresa Bank of China. Gli altri - tutti protagonisti storici dei mercati auriferi - sono Barclays Bank, Goldman Sachs, Hsbc, JP Morgan, Société Générale, Bank of Nova Scotia e Ubs.
L’ingresso dei cinesi è un segno dei tempi. Pechino ha ormai assunto un ruolo dominante nel mercato dell’oro: oltre ad essere il primo produttore minerario nel mondo, contende all’India il primato dei consumi e i due Paesi insieme rappresentano oltre la metà della domanda aurifera globale. Un peso che secondo James Steel, senior analyst di Hsbc, oggi si da sentire in modo particolare: «Durante il rally dell’oro era soprattutto la domanda degli investitori a dare l’intonazione al mercato - osserva - Adesso invece a influenzare la direzione dei prezzi è la domanda di gioielleria nei mercati emergenti di Cina e India».
Pechino comunque non si accontenta. Il suo obiettivo è diventare più influente nella formazione dei prezzi e la partecipazione all’Lbma Gold Price è solo un primo passo, benché importante - come ha sottolineato Yu di Bank of China - «per rafforzare la connessione tra il mercato domestico cinese e quelli internazionali». La prossima mossa, ormai dietro l’angolo, è la creazione di un riferimento di prezzo cinese, denominato in yuan e funzionale al piano di promuovere la valuta nazionale al rango di valuta di riserva, come il dollaro, l’euro e lo yen. La Shanghai Gold Exchange - che ha già avviato una piattaforma di scambi di oro fisico aperta a operatori stranieri - ha avviato la fase di test con l’obiettivo di avviare il benchmark “cinese” entro fine anno.