domenica 14 giugno 2015

Corriere Salute 14.6.15
Il ruolo dell’alimentazione sull’equilibrio mentale
di D. d. D.


Alla luce di quanto si sta scoprendo sulle proprietà del microbioma in chiave endocrina e di regolazione del metabolismo dei neurotrasmettitori cerebrali, è naturale che si possa pensare di provare a modulare lo stato psichico utilizzando specifici alimenti.
Si tratta di un ambito di ricerca, tuttavia, da considerare con cautela, perché è difficile valutare gli effetti di un alimento su condizioni psichiche soggette a molte variabili. Inoltre gli interessi commerciali potenzialmente in gioco possono indurre a sopravvalutare eventuali effetti.
Una riprova viene da quanto pubblicato dalle riviste scientifiche: diversi articoli di revisione degli studi condotti sull’efficacia dei probiotici oppure sull’efficacia di altri alimenti sono scritti da esperti collegati alle industrie produttrici.
Un’interessante linea di ricerca riguarda i cibi fermentati di uso tradizionale. Cereali, verdure, pesce, carne e latte, sono stati conservati anche prima dell’avvento delle tecniche di refrigerazione, ed è così che sono nati cibi naturalmente fermentati. Ma anche dopo lo sviluppo di tecniche di conservazione basate su additivi chimici oppure sul freddo, i cibi fermentati non sono stati abbandonati. Le bevande alcoliche e lo yogurt sono esempi di questo tipo di alimenti, che interagiscono con l’organismo non solo per influenza diretta sul microbioma intestinale, ma anche per azione antiossidante e antinfiammatoria, importanti per la prevenzione di stati depressivi.
«Sono molte le sostanze neuroattive di origine dietetica oppure batterica in grado di influenzare crescita e attività cerebrali — dice Federico Balzola, gastroenterologo dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino —. Così come abitudini alimentari e comportamentali moderne, compresa la maggiore igiene, possono alterare un equilibrio evolutivo immutato per milioni di anni. Il reciproco “farming” (allevamento) tra i batteri che colonizzano l’intestino sterile del neonato e il suo sistema immunitario nei primi 12 mesi di vita è condizione cruciale per lo sviluppo di molte funzioni fisiologiche metaboliche e cerebrali. Il tipo di parto e di allattamento, il tempo in cui è avvenuto lo svezzamento, un uso eccessivo di antibiotici o l’eccessiva igiene, l’appartenenza a una famiglia poco numerosa e così via, sono variabili che possono influenzare il microbioma e predisporre, anche ad anni di distanza, a malattie autoimmuni o degenerative».
È su questi presupposti che si basa la ricerca più recente.
«I cambiamenti ambientali degli ultimi anni — dice ancora Federico Balzola — hanno influenzato negativamente il microbioma, ma hanno consentito allungamenti della sopravvivenza e qualità di vita inimmaginabili dall’uomo primitivo. Alla luce delle ricerche sulle interazioni alimenti-cervello, l’intervento della medicina può essere di tipo preventivo. Si può agire nella fase di imprinting della flora batterica che avviene nel bambino nel corso del primo anno di vita, attraverso alimenti-farmaci oppure attraverso supplementi, mirati sulla base di un determinato background genetico».
«La farmacologia nutrizionale o batterica mirata — conclude il gastroenterologo torinese — potrà in futuro intervenire positivamente sui meccanismi alterati nei soggetti malati o nelle persone più fragili anche in età avanzata, utilizzando terapie più naturali se paragonate agli psicofarmaci che sono attualmente disponibili».