domenica 7 giugno 2015

Corriere La Lettura 7.6.15
Asor Rosa
Addio popolo ora tocca alla massa (e alle classifiche)
di Pierluigi Battista


A cinquant’anni esatti di distanza, Alberto Asor Rosa pubblica da Einaudi il suo Scrittori e popolo con una corposa aggiunta dal titolo Scrittori e massa . Asor Rosa si dice consapevole di essersi esposto al «rischio duplice della recriminazione e della nostalgia, che io vorrei evitare a tutti i costi». Purtroppo occorre dire, con grande affetto e con la massima stima, che se il rischio della «nostalgia» sembrerebbe aggirato, quello della «recriminazione» un po’ meno. Scrittori e popolo , un libro rivoluzionario, era un colpo di pistola nella placida routine della società letteraria dominata dalla sinistra italiana. Scrittori e massa è invece una requisitoria contro i tempi che corrono e dunque, di conseguenza, permeato di qualche umore conservatore. Non c’è in queste pagine «nostalgia» per il popolo scomparso. Ma «recriminazione» per l’irrompere della massa, questo un po’ sì.
Le parole hanno sfumature di valore che illuminano con grande chiarezza le intenzioni di chi le adopera. A volte basta il passaggio dal singolare al plurale, o viceversa, per dare a una parola una risonanza emotiva e culturale completamente diversa. Elias Canetti ha raccontato in quello splendido gioiello autobiografico che è La lingua salvata il suo ossessivo macerarsi sullo spettacolo dell’Io che svanisce e si annulla nell’indifferenziato della folla, in cui l’individualità perde ogni inibizione e si fa trascinare nel gorgo dell’uniformità e del conformismo: da questa ossessione nacque il suo imprescindibile Massa e potere . Molti decenni dopo il comunista Pietro Ingrao, eretico ma pur sempre comunista, intitolerà un suo libro Masse e potere . Una «e» al posto della «a» ed è tutto diverso. Le «masse» della tradizione di Ingrao sono le poderose forze del progresso che invadono le piazze e il proscenio per cambiare il mondo. «La massa» è un tutto omogeneamente repellente, «le masse» è un concetto entusiasmante. Asor Rosa, che cinquant’anni fa non ce l’aveva con il popolo ma con il populismo, sa benissimo che la locuzione «masse popolari» era addirittura un rafforzativo. «Popolo» non era contrapposto necessariamente a «masse». La «massa», soppiantando il popolo, introduce la negatività dove c’era la positività. E infatti Asor Rosa, un maestro della critica letteraria che maneggia con grande cura le parole e i concetti, cita Psicologia delle folle di Gustave Le Bon (1895) in cui la massa viene individuata, appunto, come «materiale facilmente manipolabile», e il sommo Sigmund Freud in cui nientemeno «la massa ci si presenta come una reviviscenza dell’orda primordiale».
Ecco, la fine del popolo appare tra le righe di questo nuovo libro di Asor Rosa come un evento cataclismatico (ce n’è anche per Toni Negri e le sue sviolinate alla nuova «moltitudine»), mentre l’invasione della «massa» che ne prende il posto è accolta come il ritorno dell’orda primordiale, destinata a trascinare nell’abisso tutto ciò che gli si para innanzi, cultura e letteratura comprese.
Misurarsi con il popolo è per gli scrittori una tentazione (ossia il populismo della tradizione italo-comunista contro cui il giovane e rivoluzionario Asor Rosa si scagliò nel 1965). Far fronte alla diabolica e inarginabile potenza della «massa» è invece per gli scrittori una partita destinata alla sconfitta. Basta scorrere l’elenco dei giudizi critici sugli scrittori nati dopo la stesura di Scrittori e popolo per accorgersene. E qui è difficile non parlare di «recriminazione».
«Ora di tutto questo non resta più niente»: comincia con questo mesto giudizio uno dei paragrafi del nuovo Scrittori e massa . «Tutto questo», sparito nel nulla, sarebbe il popolo. Asor Rosa ribadisce che il suo sulfureo volume del ’65 che tanto fece infuriare i funzionari del dogma che dedicarono parole sprezzanti al suo giovane autore non ce l’aveva con il «popolo», ma con il «populismo». Che allora aveva accezione del tutto diversa da quella dei nostri giorni. Il popolo era una «realtà umano-sociale vivente». Era un’identità. Era il contenitore ideale di una società organizzata. Era la società fondata sul lavoro, sulla fabbrica. Era il Novecento (si può dire?) che ha partorito tanti mostri, ma che aveva il senso di una comunità. Era la base della democrazia, dove il concetto di «sovranità popolare», prima ancora di assurgere a categoria costituzionale, era alla base delle società moderne.
Se di nostalgia si può parlare nelle pagine di Asor Rosa, questo è lecito quando l’autore sembra rimpiangere la «sintesi tra popolo e democrazia», «l’equilibrato governo sia delle mediazioni sia delle contrapposizioni». Ecco, questo popolo ha fatto il suo tempo. Quel mondo era dominato dalle «mediazioni», innervato da una rete di relazioni che non lasciavano mai l’individuo solo. Era una società strutturata, mentre il mondo odierno dominato dalla «massa» che ha detronizzato il popolo è una società destrutturata e dunque più vulnerabile ai rischi della manipolazione.
È un paradosso curioso che con la stessa parola, «populismo», si intendano due concetti diametralmente opposti. Il populismo sferzato da Asor Rosa nel ’65 era un andare verso il popolo-comunità, un po’ melensamente descritto come un grande e armonico alveare fitto di reti, di corpi intermedi, di socialità attiva. Il populismo tanto deplorato oggi è invece la politica che salta ogni mediazione e conosce soltanto la relazione diretta tra il leader e il suo popolo, chiamato ad affrancarsi dalle reti che lo tenevano avvinto. Ma il populismo di oggi poggia sulla «massa», direbbe Asor Rosa. E nella società di massa «ognuno è costretto a cercare da sé».
E questo era il popolo. Poi ci sono gli scrittori, nel senso dei nuovi scrittori e delle nuove scrittrici. Privati del vitale afflato del popolo e schiacciati dall’avvento della massa, scrive in sostanza Asor Rosa, il loro destino è di restare incapsulati in una forma di «atomismo individualistico» da cui non possono liberarsi. Nelle pagine di Asor Rosa, queste nuove generazioni di scrittori sembrano essere del tutto sorde al richiamo della grande letteratura di impegno civile: con qualche eccezione, in primis Roberto Saviano, e con gradi e tonalità diverse, ma sorde. Finito il Novecento, prende il sopravvento la «catalogazione commerciale» e il «bisogno del successo» (con stoccata un po’ scontata a Fabio Volo in cima alle classifiche: ma perché?).
Ma la seconda sventura in cui sembrano condannati gli scrittori nella società in cui la massa ha preso il posto del popolo è che con la scomparsa di una società organizzata si è dissolto anche qualunque residuo di «società letteraria». Ci circonda un «magma» e si spezza ogni legame con la tradizione letteraria e culturale e qui Asor Rosa prende a prestito alcune considerazioni di Emanuele Trevi che sembrerebbero confermare la sua tesi: «Assistiamo allo sconcertante spettacolo di una letteratura che non pensa più nulla. L’unico compito che lo scrittore si assegna è quello di essere uno storyteller ».
Finito il popolo, subentra la massa. Finito lo scrittore, subentra lo storyteller . Finita la società letteraria organizzata, prevale la «catalogazione commerciale della letteratura». Se non è «recriminazione» questa? Salvo poi, e su questo Asor Rosa ha il dono di un’intuizione davvero non convenzionale, surrogare la mancanza di una società, arginare la solitudine dell’«atomismo individualistico» con un uso smodato e abnorme dei «Ringraziamenti». Un «nuovo genere letterario», nota Asor Rosa, che allude all’«assenza alle spalle del singolo scrittore di un “gruppo” inteso nel senso tradizionale del termine, cui si sopperisce con l’accumulo delle testimonianze di fiducia, affetto, stima, solidarietà». Scrive Asor Rosa — per illustrare un esempio di come un tempo esistesse una «società letteraria» di cui oramai si sono perdute le tracce — che all’uscita di Scrittori e popolo , uno dei suoi principali «bersagli», Elio Vittorini, si fosse sentito in dovere di replicare in modo argomentato alle accuse che gli erano state rivolte.
È vero, capita sempre più di rado. Ma insieme è venuto meno quel complesso di prosa intimidatoria, arte dello scomunicare, intollerantismo estremo, allergia per ogni spirito critico e indipendente, che era all’ordine del giorno nell’epoca in cui dominavano i grandi e arcigni apparati dell’ortodossia ideologica. Cosa è meglio e cosa è peggio? L’intolleranza ideologica ha mietuto molte vittime nel corso dei decenni. Ma una classifica dei libri più venduti, che male può fare?