domenica 14 giugno 2015

Corriere La Lettura 4.6.15
Sei bella come un parallelogramma
I numeri sono meravigliosi e fondamentali. Vince il primo che capisce che tre è più di due
Scienze esattissime. Jonathan Swift aveva capito tutto quando descriveva i sapienti del regno di Laputa, nei «Viaggi di Gulliver», che utilizzavano la matematica per apprezzare il fascino delle donne. Lo confermano gli studiosi di oggi
di Giulio Giorello


Ingordi di matematica, gli scienziati del regno di Laputa «si aggirano sempre fra linee e figure. Volendo lodare la bellezza di una donna, la descrivono con rombi, circoli, parallelogrammi, ellissi», anche se le «vivacissime» signore «disprezzano i mariti e sono pronte a cornificarli con tutti gli uomini che vengono da fuori». Così Jonathan Swift nei Viaggi di Gulliver (1726) caratterizza i sapienti di quel Paese immaginario. Nonostante la loro scarsa popolarità col gentil sesso, i maschi laputiani riescono a vantare una grande scoperta, l’aver individuato «due satelliti che girano intorno a Marte», di cui specificano con buona approssimazione numerica periodo e distanza dal pianeta principale, in omaggio alle Leggi di Keplero e alla Teoria della gravitazione di Newton: fatto assai curioso, dato che i due satelliti del Pianeta rosso, Deimos e Phobos, saranno individuati dall’americano Asaph Hall solo nel 1877.
Come ci fosse arrivato Swift resta un mistero, a meno che — come ha sostenuto qualche brillante ufologo — il «decano pazzo di San Patrizio» fosse un marziano in missione segreta sul nostro Globo. Resta che l’ossessione per il dato numerico qualche volta paga, anche se a Laputa come altrove forse più sui testi di astronomia che in camera da letto.
D’altra parte, la mania dei numeri sembra aver contagiato, seppur secondo modalità differenti, tutti i popoli della Terra, dagli antichi mesopotamici agli abitanti dell’odierna città globale. E forse non ci si dovrebbe limitare all’ Homo sapiens , come si può sospettare scorrendo l’affascinante casistica presentata da Giorgio Vallortigara e Nicla Panciera nel loro Cervelli che contano . Come minimo, osservano a loro volta Claudio Bartocci e Luigi Civalleri in Numeri (nato come catalogo di una fortunata mostra al Palazzo delle Esposizioni di Roma su Tutto quello che conta, da zero a infinito ), l’aritmetica «è una facoltà molto diffusa, anche perché procura un ovvio vantaggio selettivo: per esempio, l’animale che capisce la differenza fra un ramo che contiene due frutti e un altro che ne ha tre ha più possibilità di alimentarsi con efficienza».
Ciò che davvero «conta» in fatti come quelli appena citati non è tanto che si tratti di due satelliti o di tre frutti, quanto della circostanza che tre è maggiore di due, qualunque sia la natura degli oggetti considerati. E tutto ciò «comporta un atto di astrazione, che tuttavia non è la stessa di quella che abitualmente porta da un aggettivo come bello al sostantivo bellezza », osserva il logico e filosofo della matematica Gabriele Lolli nel suo Numeri . La creazione continua della matematica , comparso in questi giorni presso Bollati Boringhieri: l’astrazione, almeno in matematica, «consiste nel vedere qualcosa che non si vede, non nel non vedere qualcosa che si vede, cioè nell’ignorare o trascurare alcune proprietà degli oggetti quali la forma, il colore, la consistenza», poiché essa generalizza una relazione (persino apparentemente banale come quella che tre è maggiore di due) che lo sguardo semplice coglie solo come appartenente agli oggetti che ha sott’occhio. In questo senso l’astrazione contiene già un elemento ineliminabile di arricchimento e di creazione.
Forse prima ancora della scrittura, il genio dell’aritmetica ha cominciato a introdurre segni per indicare conteggi e misure, e da allora non si è più fermato. Dai numeri interi «naturali», cioè 1, 2, 3, 4… ecc., e mettiamoci — con qualche sforzo intellettuale — anche lo zero, una sorta di nome per il nulla, si è così passati alle frazioni, ai numeri relativi (positivi e negativi), ai numeri reali (essenziali nella descrizione dei processi continui) come la radice quadrata di due e ai numeri immaginari come la radice quadrata di meno uno .
Tutto ciò è stato ottenuto — scrive Lolli — in una vicenda fatta di «sorpresa, incredulità, rifiuto, ripresa, trionfo». Una storia epica, talora anche drammatica, come mostra la follia di Georg Cantor (1845-1918), il creatore della teoria dei numeri transfiniti, con la quale intendeva domare il più elusivo concetto della matematica, quello di infinito, commettendo quello che Borges ha chiamato il massimo peccato d’orgoglio dell’umanità.
Che strano bestiario, quello evocato dai matematici. Anche loro sembrano tipi alquanto bizzarri quanto i laputiani. Come osserva Umberto Bottazzini in un altro bel libro, anch’esso dedicato ai numeri (ed edito dal Mulino), «c’è chi ritiene che i matematici siano di stirpe divina perché hanno la capacità di creare dei numeri per spiegare la natura del continuo; c’è chi Dio lo chiama in causa per averci dato i numeri naturali e chi si considera un fedele scriba della natura che trascrive per gli uomini i numeri transfiniti come verità rivelategli da Dio» — come Cantor diceva di sé. E c’è chi, infine, come l’americano John Conway «mostra che tutti quei numeri non sono altro che giochi… surreali, lasciando in pace Dio». Bottazzini preferisce concludere che a creare i numeri naturali non è stato il Signore onnipotente (era questa, invece, l’intima convinzione del grande avversario di Cantor, il matematico berlinese Leopold Kronecker, 1823-1891, che aggiungeva che «tutto il resto è opera dell’uomo»). Più umilmente «è stata l’evoluzione a creare i numeri reali, e l’uomo non ha fatto altro che riscoprirli partendo dagli interi», proprio per il carattere discontinuo del linguaggio, incapace di esprimere adeguatamente i processi continui dentro cui noi stessi siamo immersi. La difficoltà è stata anche un’occasione.
Oggi, scrivono Georg Glaeser e Konrad Polthier, a ogni invenzione numerica della matematica corrisponde ormai una raffigurazione nella computer graphics , e l’immagine sullo schermo consente «la visualizzazione di strutture matematiche la cui natura astratta potrebbe ostacolare la nostra comprensione». Basta sfogliare lo stupendo catalogo di Immagini della matematica , frutto della loro ultima fatica all’incrocio tra scienza e arte, per capire che non sbagliavano troppo gli sfortunati mariti di cui si faceva beffe Swift a ricorrere a linee e figure per rappresentare la bellezza.