martedì 9 giugno 2015

Corriere 9.6.15
Il premier vuole coinvolgere studenti e professori, non sinistra e sindacato
Aveva avvisato i suoi: in direzione non sarò buonista
di Maria Teresa Meli


Roma Lui la spiega così prima di andare in direzione: «Non sarò buonista». Del resto, questa non è la chiave del successo renziano, ma nemmeno di Renzi medesimo. Quella si chiama pragmatismo.
Perciò il premier preferisce avvertire i suoi che sarà «anche cattivista». Ma non è una sfida né una prova di forza. È una constatazione.
Renzi sa che la sua minoranza può rilasciare dichiarazioni di fuoco, fare interventi appassionati, ma che, al momento, non ha nessuna prospettiva fuori dal Pd e non può certo permettersi il lusso di far saltare il governo al Senato, nonostante le «minacce e i penultimatum». Anche perché correrebbe il rischio di mettere in moto un rimescolamento delle carte a Palazzo Madama che potrebbe limitare il suo potere di veto e rischierebbe invece di aprire le porte a nuovi contributi (ex grillini o ex forzisti) alla maggioranza di governo.
Perciò i suoi toni non sono più concilianti, o meglio, lo sono solo sono in apparenza, perché questo è ciò che serve adesso per far andare avanti il governo. Si pensi alla riforma prioritaria, quella sulla scuola, che Renzi ha spostato più in là nel tempo, ma a cui non vuole rinunciare. Ad alcune modifiche il premier ha già detto di no (alla commissione genitori-insegnanti che giudica i docenti, per esempio), ad altre ha aperto. Ma la sua, sia chiaro, non è una concessione alla minoranza del Pd e nemmeno alla Cgil. «Io non mi metto mica a trattare con il sindacato sul merito», è il suo paletto invalicabile. Insieme a un altro: «Non sto a perdere tempo per ogni articolo di ogni riforma con una micro-componente della minoranza della minoranza».
Insomma, ampio coinvolgimento degli studenti e dei docenti (meno dei genitori, ai quali il premier non vuole dare il diritto di promuovere o bocciare gli insegnanti), ma poche «beghe di partito». «Chi ha la responsabilità di mandare avanti questo Paese — è il ragionamento del presidente del Consiglio — a un certo punto deve tirare dritto. Nel senso che deve cercare il massimo coinvolgimento, ma se non ci riesce poi deve andare avanti con chi ci sta».
Magari, se la minoranza interna recalcitra, può essere sostituita anche da quei pezzi di Palazzo Madama che ormai non sembrano essere governati da nessuno. Gli ex grillini, per esempio. Ma pure dai senatori di Forza Italia, «che stanno implodendo, nonostante la vittoria di Toti in Liguria».
Anche sulla riforma del Senato, per esempio, le cui modifiche vengono chieste in toni quasi ultimativi dalla minoranza interna, Renzi ha le sue idee. E non le ha esposte adesso «perché se Speranza mi viene a dire che il risultato elettorale non è stato buonissimo, io dico: “Cavoli governiamo in diciassette regioni su venti, di che cosa parliamo?”. Io la modifica l’ho ipotizzata già ai primi di febbraio. Quindi non prendiamoci in giro».
Per farla breve, è sempre lo stesso premier pragmatico che conferma la stessa disponibilità... a patto che non venga venduta come un cedimento perché di quel possibile cambiamento parlò a molti, cronisti compresi, a febbraio e appuntarselo adesso come una medaglia dopo la sconfitta in Liguria è «ridicolo».
Già, la sconfitta. È un parola che il premier pronuncia con difficoltà. Anzi la nega: «Con una sconfitta così, spalmata sul territorio nazionale, andando alle politiche governeremmo l’Italia».
Ma non è il voto anticipato ciò che il premier vuole. Ed è questa l’unica vera rassicurazione che Renzi offre ai suoi avversari interni: «Io non penso neanche lontanamente alle elezioni anticipate, perché nei prossimi dodici mesi ci sarà la crescita economica e nessuno la vuole perdere». E allora? «E allora io a questo punto vado avanti con ancora più decisione e sono incavolato con chi vuole fermare le riforme, ancora di più se questo qualcuno viene dal mio partito». E allora, alla fine della festa, mediazione sì, solo «se fa andare avanti i provvedimenti che servono al Paese», sennò, come per la scuola, «si va avanti con chi ci sta».