Corriere 5.6.15
Cina, parenti delle vittime in rivolta
Il naufragio diventa un caso politico
di Guido Santevecchi
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PECHINO Sono passati quattro giorni dal disastro della «Stella dell’Est», la nave delle vacanze che portava in crociera più di 400 anziani turisti cinesi ed è affondata in due minuti nelle acque del fiume Yangtze durante una tempesta di pioggia e vento. Ieri i soccorritori sono riusciti ad aprire tre fori nella chiglia e hanno recuperato decine di cadaveri. Il conto dei morti accertati è salito a 77, i superstiti sono fermi a 14, i dispersi 365: tre sono stati salvati da una bolla d’aria all’interno dello scafo. Le autorità ieri mattina parlavano ancora di soccorsi, hanno ordinato ai giornali di enfatizzare lo sforzo per salvare vite. Ma in serata non c’erano più ragionevoli aspettative che qualcuno sia sopravvissuto nel relitto. Sono cominciate le operazioni per sollevarlo, segno che ormai è considerato una grande bara.
Sul posto in questi giorni è rimasto il premier Li Keqiang, a dimostrazione di un cambiamento di strategia da parte del governo centrale. La tragedia, la peggiore nella storia della navigazione fluviale in Cina, offre un’opportunità di leggere dentro la psicologia del partito comunista: in passato queste notizie semplicemente non esistevano, perché non venivano date. Nell’era di Internet, con mezzo miliardo di cinesi che si scambiano informazioni sui social network, il partito si è reso conto che bisogna reagire e dominare l’informazione: per questo si è mosso subito il premier e le notizie dominano le prime pagine dei giornali e i tg. Anche se alla stampa è stato ordinato di riprendere solo le notizie dell’agenzia ufficiale Xinhua e della tv statale Cctv . Così, informazioni e immagini sono le stesse per tutti ma la notizia c’è.
Certo, i lettori cinesi non sanno che in un villaggio a pochi chilometri dal luogo del naufragio un’agenzia funebre ha lavorato a ritmi forzati per preparare centinaia di bare: le foto sono dei reporter occidentali, tenuti a distanza dal relitto ma non dalla zona. La stampa cinese, sottoposta a censura, mostra soprattutto Li Keqiang che dirige i soccorsi, scruta il fiume con il binocolo, visita i pochi superstiti in ospedale.
I giornali cinesi non danno rilievo alla protesta delle famiglie degli scomparsi, che hanno litigato con i funzionari di Shanghai e Nanchino, da dove era partita la crociera della morte; ai parenti che a centinaia hanno rotto i cordoni di polizia sullo Yangtze per avvicinarsi al relitto diventato la bara dei loro cari. Ma se si pensa al silenzio colpevole imposto per mesi nel 2002 sulla vicenda della Sars, l’epidemia di polmonite originata nel Guangdong, i progressi sono evidenti. Non c’è insabbiamento, come dopo il terremoto del Sichuan nel 2008, quando centinaia di scuole vennero giù perché erano state costruite male. Dalla soppressione della notizia si è passati a una gestione controllata della tragedia. E il governo centrale, inviando immediatamente il premier, si è assunto delle responsabilità.
Si è saputo che la «Stella dell’Est», una nave lunga 77 metri, con quattro ponti, due anni fa era stata fermata per problemi di sicurezza e che il capitano, salvo assieme al capo motorista e fermato dalla polizia, aveva tentato una manovra forse sbagliata la sera di lunedì primo giugno, compiendo una virata di 120 gradi e probabilmente esponendo il battello alle raffiche di vento simili a un ciclone. Non è stato lanciato alcun allarme dalla plancia di comando, i passeggeri sono stati abbandonati mentre il comandante se la cavava. Per la prima volta la stampa cinese non ha citato improbabili «profondi ringraziamenti» alle autorità da parte dei parenti delle vittime, si limita a riportare l’elogio del premier Li Keqiang ai soccorritori. Meritati, perché immergersi nelle acque scure dello Yangtze, dove un subacqueo non riesce a vedere la propria mano, è stata una prova di coraggio non comune.