Corriere 4.6.15
Trasformismo italiano la regola dell’articolo 67
risponde Sergio Romano
Esiste un articolo della Costituzione particolarmente inviso agli elettori: l’articolo 67, dove si afferma che «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Questa copertura, oggi anacronistica, autorizza gli eletti a cambiare casacca secondo i propri interessi, quando e come vogliono. Lei ha sempre sostenuto la ragione per la quale i Padri costituenti avevano ritenuto opportuno inserire questo articolo. Penso che possa convenire che oggi questa ragione non esiste più e che sarebbe opportuno modificarlo in senso restrittivo. Gli elettori chiedono che il loro rappresentante rispetti il vincolo di mandato, in caso contrario, per coerenza, si dovrebbe dimettere, lasciando il posto al primo dei non eletti.
Anna Mara Prati
Cara Signora,
Cercherò di risponderle con qualche ipotesi. Potremmo sopprimere l’art. 67. Non sarà facile perché molti parlamentari saranno contrari. Ma vi sarà un grande dibattito nazionale da cui risulterà probabilmente che molti italiani sono irritati, se non addirittura indignati, dal modo in cui parecchi parlamentari, nel corso di una legislatura, passano da un partito all’altro. Non è escluso, quindi, che i membri delle due Camere, sollecitati dalla pubblica opinione, accettino di completare il percorso a ostacoli che i costituenti hanno previsto per ogni modifica della Costituzione.
Ma la soppressione dell’art. 67 non basta, di per sé, a impedire i cambiamenti di campo. Occorre un’altra norma, anch’essa costituzionale, che li proibisca espressamente. Quale potrebbe essere il contenuto di questa nuova norma? È lecito scrivere che il parlamentare dovrà restare fedele alla formazione politica con cui è stato eletto? I segretari dei partiti ne sarebbero felici, ma non credo che gli avversari dell’art. 67 desiderino un sistema in cui deputati e senatori, dall’inizio alla fine della legislatura, sono condannati a restare ingabbiati in una formazione politica che, nel frattempo, potrebbe avere modificato la propria linea e dimenticato gli impegni assunti nella campagna elettorale. Dietro la polemica contro l’art. 67 sembra esservi la implicita convinzione che il contratto con i cittadini, al momento del voto, sia un documento preciso e dettagliato a cui è possibile fare riferimento per sciogliere dubbi e controversie. Non può esserlo perché nessun partito, quando chiede il voto degli elettori, è in condizione di prendere impegni nella certezza di poterli mantenere. Ricorda il contratto con gli italiani che Silvio Berlusconi firmò alla televisione l’8 maggio 2001, prima delle elezioni politiche? Alcune promesse furono mantenute, ma non dettero il risultato sperato; altre furono mantenute solo parzialmente. Lungo la strada di ogni governo vi sono ostacoli imprevisti, condizioni mutevoli della economia internazionale, incalcolabili incidenti di percorso. Promesse e impegni sono l’indispensabile ingrediente di una campagna elettorale. Ma anche il migliore dei governi dovrà fare scelte imposte dalla realtà.
Questo non significa che i cambiamenti di campo debbano essere sempre condonati. In Italia sono troppi e spesso giustificati da calcoli di convenienza. Ma il rimedio non è una legge. È il giudizio con cui gli elettori, alla prossima tornata, decideranno se il transfuga abbia obbedito alla propria coscienza o ai propri interessi.