martedì 2 giugno 2015

Corriere 2.6.15
La difficoltà di affrontare un risultato in chiaroscuro
di Massimo Franco


Il riflesso istintivo è di difesa. È come se il Pd cercasse di ignorare il risultato contraddittorio delle regionali, per non interrompere la narrativa di un partito vincente e di un governo che avanza circondato dai consensi. E dal punto di vista aritmetico, Matteo Renzi ha qualche ragione. Il cinque a due nelle regionali di domenica consente ai suoi fedelissimi di cantare vittoria sul centrodestra. E non è difficile prevedere che il presidente del Consiglio rilancerà contro gli avversari: lo ritiene inevitabile, ed è connaturato alla sua strategia. Nelle pieghe del risultato, però, preoccupazione e soddisfazione si bilanciano.
Intanto, il Pd ha lasciato per strada molti voti. È dimezzato rispetto al 2014, trionfo alle europee, e ha perso il 30 per cento rispetto al 2013. Ha avuto un calo pesante anche FI, e in misura minore perfino il M5S, rispetto alle politiche. L’unica forza ad avere davvero vinto, raddoppiando i consensi, è la Lega: questo dicono i dati elaborati dall’Istituto Cattaneo di Bologna. Ma l’aspetto poco incoraggiante, per il vertice del Pd, è che hanno trionfato i candidati dell’apparato tradizionale. Il vincitore in Puglia, Michele Emiliano, ieri si è lamentato perché il premier non si era ancora congratulato con lui.
Lo stesso Vincenzo De Luca, vincitore per un soffio in Campania, fino a poche settimane fa era il candidato che il partito sperava perdesse. Ora abbraccia Renzi, e ne è abbracciato, eppure promette di mettere in imbarazzo il presidente del Consiglio, perché secondo la legge Severino non potrebbe governare in quanto condannato in primo grado; né, sembra, una volta sospeso può designare un «vice» che lo sostituisca. Ieri il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, ha assicurato che la legge non sarà cambiata.
Ma Guerini ha anche ripetuto che il nuovo governatore della Campania potrà insediarsi e guidare la Regione: lasciando spazio al sospetto che la Severino forse possa essere elusa. È una blindatura che riflette l’esigenza di mostrare un vertice determinato a non cedere alla minoranza interna; e pronto alla resa dei conti. Sarà uno scontro duro, scontato nell’esito a favore del capo del governo; e tuttavia rischioso. La sopravvivenza di una minoranza agguerrita mette in forse l’esito delle riforme istituzionali.
Va detto che Renzi può allineare molte attenuanti. La campagna elettorale è stata punteggiata dalle proteste sulla sua riforma scolastica, dal «buco» delle pensioni, e alla fine dalla spaccatura nel Pd sulle candidature dei cosiddetti «impresentabili»: una serie di intoppi e inciampi che avrebbero messo in difficoltà chiunque. Il problema è come li ha affrontati e come reagirà. Limitarsi a contare le Regioni governate dal centrosinistra, ripetendo di avere vinto, adesso non basta più: quello è il passato. L’astensionismo record, la forza del Movimento 5 Stelle e la tenuta del centrodestra a traino leghista impongono al Pd una visione meno autocompiaciuta e più autocritica.