sabato 20 giugno 2015

Corriere 20.6.15
In difesa degli svizzeri, pragmatici e non ideologici
di Claudio Del Frate


A volte i numeri sono in grado di smontare i luoghi comuni più coriacei e storicamente datati. La Svizzera si porta appresso da decenni la fama di Paese xenofobo per antonomasia: e nessuno nasconde che a volte — lo sanno gli italiani nel dopoguerra migrati lì per lavoro — la nomea non è stata campata per aria.    Però, c’è un però. La Segreteria di Stato per la migrazione del governo di Berna prevede che, per il 2015, la Svizzera darà accoglienza a 29 mila richiedenti asilo. Ora, quei 29 mila migranti sono più del doppio di quelli attualmente ospitati in Lombardia e Veneto messi assieme; sono 11 mila in più di quelli ancora oggi fermi in Sicilia. Al dunque: una nazione di poco più di 8 milioni di abitanti, che non fa parte della Ue, programma di accogliere una consistente quota di profughi proprio mentre i paesi Ue mettono a repentaglio la loro coesione giocando a risiko con le frontiere, innalzando muri e rifiutando proprio il meccanismo solidale delle quote.
   Strano? No, per chi conosce l’approccio elvetico alla politica: mai ideologico e votato a soluzioni pragmatiche fino al cinismo. Dice tutto, di questa cultura ispirata al «problem solving», una delle peculiarità delle istituzioni elvetiche: tutti i partiti entrano da sempre a far parte del governo in misura proporzionale, di modo che non esistono una maggioranza e un’opposizione precostituite ma queste si formano di volta in volta al momento di votare i singoli provvedimenti di legge.    Anche la risposta all’emergenza migranti è stata improntata al pragmatismo; la guardia alle frontiere resta alta (a Chiasso vengono respinti ogni giorno fino a 100 stranieri) ma al tempo stesso si prevede di dare ospitalità ad altre migliaia di fuggiaschi e di esaminare la loro richiesta di asilo. Molto meglio che avere le stazioni e le periferie trasformate in bivacchi di disperati.