sabato 20 giugno 2015

Il Sole 20.6.15
Se Putin ammalia Atene la colpa è anche dell’Occidente
di Ugo Tramballi


In Europa, almeno fino a qualche tempo fa, eravamo abituati a vedere paesi passare dal freddo dell’illiberalità orientale al calore delle democrazie occidentali. Qualcosa non sta funzionando se ora la Grecia è tentata, Cipro tentenna e l’Ungheria ammicca all’autoritarismo imperiale post-sovietico di Vladimir Putin.
Ammettendo che non sia stato calcolato, c’è un tempismo perfetto fra la crescente insofferenza europea verso il governo greco e il viaggio a San Pietroburgo di Alexis Tsipras; c’è una sovrapposizione da suspense in un vertice europeo che sarà l’undicesima ora della trattativa fra Unione europea e Grecia, e contemporaneamente il momento in cui i 28 membri della Ue dovranno trovare l’unanimità sulle nuove sanzioni alla Russia. I due temi sono strettamente legati. La decisione di estendere di altri sei mesi le sanzioni era già stata presa dagli ambasciatori due giorni fa a Bruxelles. Ma lunedì in Lussemburgo non tutti i ministri degli Esteri potrebbero confermarla. A nessun leader europeo piace confermare ed estendere il boicottaggio economico. Gli scambi fra Ue e Russia sono dieci volte più grandi di quelli fra Stati Uniti e Russia. L’esposizione delle banche europee verso le istituzioni russe è di 155 miliardi di dollari, molto più di quelle americane. Quando l’anno scorso il ministro degli Esteri britannico Philip Hammond sosteneva che la Ue avrebbe deciso sanzioni «per colpire la Russia più di quanto non colpiscano noi», implicitamente riconosceva che comunque feriscono anche noi. Ma di tutti i leader europei, Tsipras è sempre stato il più deciso nell’opporsi al boicottaggio economico. Nemmeno lui sa se Putin è una sirena con cose concrete da offrire o il luccichio è solo uno specchietto per allodole. Certamente i politici e gli affaristi greci che in questi vent’anni hanno rubato soldi ai loro concittadini e agli europei, senza mai finire in galera né pagare tasse vere, si sentirebbero più a loro agio nel sistema degli appariscenti oligarchi russi che fra i puntigliosi tecnocrati di Bruxelles. Ci sarebbe anche l’aspetto non democratico del modello russo, così tentatore sul piano economico: ma sono valori che retrocedono quando la crisi economica morde. L’autocelebrazione del forum in corso a San Pietroburgo tenta di nascondere una realtà russa più complessa: le sanzioni, il prezzo di greggio e gas, il valore del rublo e le stesse caratteristiche del sistema produttivo in Russia non garantiscono che in Grecia Putin prenderà il posto della Ue e dell’Fmi come ufficiale pagatore. Promettendo l’ingresso nella banca di sviluppo dei Brics, con un gettone pro forma in cambio di miliardi per sviluppare progetti infrastrutturali, il presidente russo fa credere di essere il capo dell’organizzazione informale dei cinque grandi emergenti. Ma non è detto che Brasile, Cina, India e Sudafrica vogliano essere altrettanto munifici, ammettendo un’adesione greca che è politica e non ha vantaggi economici.
Tuttavia a Ovest qualcosa non ha funzionato se la Grecia democratica ma affamata, ottenuto un gasdotto, è tentata di uscire dall’euro e dalla Ue per abbracciare Putin e la sua prodigalità orientale non disinteressata. Il solo fatto che il modello putiniano possa in qualche modo attrarre, richiede l’ammissione di un nostro fallimento e la necessità di un esame di coscienza.